Due persone si svegliano all’interno di una gabbia di vetro, sotto gli occhi dei passanti. Sono legati ai capi opposti di un tavolo da lavoro, separati da seghe rotanti. Sopra di loro, al soffitto, è appesa una ragazza. Compare un bizzarro pupazzo su un triciclo che spiega ai due uomini che si trovano davanti a una scelta: salvare la ragazza sacrificando se stessi, o lasciarla morire. E la conclusione non può che essere sanguinosa.

Leggendo questa scena iniziale dovreste aver intuito di quale film parleremo. Al settimo capitolo, indotta anche dai non esaltanti risultati al botteghino delle ultime performance, la saga di Saw giunge al termine e si congeda.

Ma, prima di arrivare all’analisi dell’ultimo (questa volta per davvero) sequel, ripercorriamo i passi della saga più fruttuosa e geniale dell’ultimo decennio cinematografico.

Nel 2004 il mondo conosce Saw - L'enigmista, diretto da James Wan, già regista di Dead Silence (2007). Sorprendente e originale, il film dà vita ai 100 minuti più angoscianti e claustrofobici dell'anno, trasmettendo sensazioni di terrore miste a esaltazione. Spiazza completamente il pubblico, scaraventandolo in un gioco diabolico disseminato di trappole (fisiche e narrative) e marchingegni, il tutto illuminato dal gelido neon di un bagno lurido. E’ l'incipit di un gioco perverso, le cui fasi lo spettatore vedrà attraverso gli occhi delle vittime di un sadico moralizzatore: Jigsaw.

Sono stati investiti molta energia e pochi soldi (circa un milione di dollari) per un preziosissimo ed esplosivo potenziale visivo e narrativo già testato nell'omonimo cortometraggio precedente al film.

Saw – L’enigmista aveva creato un genere.

Saw II - La soluzione dell'enigma (2005) è affidato alla regia di Darren Lynn Bousman (Butterfly Dreams, Identity Lost), che si occuperà anche dei successivi due sequel. Dietro le quinte c’è sempre James Wan.

Il secondo episodio ricalca e rafforza quegli elementi stilistici che avevano fatto del capitolo primo uno strepitoso cult: trappole infernali, sfondi etici, una narrazione veloce e disseminata di colpi di scena, infarcita con situazioni ed elementi tipici del filone slasher. Cambiano le vittime ma non il modus operandi del loro killer.

Il film, più violento e sanguinoso del capostipite, riesce a mantenere una continuità e ad aggiungere suspense alla suspense.

Il successo arriva come programmato e il pubblico chiede altro sangue con cui giocare in sala.

Con i successivi Saw III - L'enigma senza fine (2006) e Saw IV - Il gioco continua (2007), l’intreccio narrativo diventa un percorso intricato. Viene compiuto il passo irreversibile verso il gore truce per soli stomaci forti, bilanciato dalla compassionevole involuzione fisica e morte del sadico ma amato eroe Jigsaw. Cambia il croupier, non cambiano le carte. Le trappole sono sempre più perfide e geniali, ma ormai lo spettatore sa bene come muoversi e districarsi.

A questo punto, dopo 3 sequel, ci vorrebbe qualche novità per ridare slancio a una serie che rischia di risultare troppo macchinosa e spremuta, quasi banale, e David Hackl, regista di Saw V - Non crederai ai tuoi occhi, datato 2008, ci prova: chiama in causa i primi episodi; prova a giocare la carta del passaggio di testimone da Jigsaw al detective Hoffman. Risultato: il film risulta il meno riuscito della saga, complice probabilmente l'assenza dell'ideatore originale della serie.

Le mutilazioni pornografiche rimangono gli unici aspetti stilistici riconoscibili della serie, che diventa sempre più dark e tenebrosa, più violenta e meno sottile.

Saw VI - Credi in lui (2009) vede alla regia l'editor di Donnie Darko, Kevin Greutert. La sua direzione riesce in ciò che quella di Hackl aveva fallito: dare nuova vitalità alla saga. Rispetto a Saw 5 la storia torna a rivestire un ruolo di importanza primaria, grazie a briciole della storyline principale più consistenti. Viene alzato ancora di più il tasso di gore, al punto che in Spagna il film viene distribuito solo nei circuiti pornografici. Inoltre, ed ecco il punto forte del film, troviamo un forte ancoraggio all’attualità, con le critiche mosse al welfare e alla malata lotteria delle assicurazioni private americane: executives pronti a sbranarsi tra loro per accaparrarsi i clienti e sopravvivere in una sanguinosa metafora della corsa al denaro.

Fermarsi qui o insistere?

E’ stata fatta una scelta: Saw 3D - Il capitolo finale.

L’ultimo capitolo è incentrato sulla violenta battaglia scoppiata per ottenere l'eredità morale di Jigsaw, mentre un gruppo di sopravvissuti ai giochi dell'enigmista si riunisce sotto la bandiera di Bobby Dagen: esperto in terapie per l'autosostentamento emotivo, anch’egli sopravvissuto a una trappola dell’enigmista.

Quale sarà il tortuoso piano finale di Jigsaw?

Cominciamo però da Saw VIII. Già, perché probabilmente era in programma. Il materiale presente in Saw 3D è veramente troppo per soli novanta minuti. Gli sceneggiatori non hanno voluto rinunciare a nessuna idea e il risultato è un luna park di giostre splatter impazzite, una trottola sanguinolenta in cui la congruità interna alla saga è stata definitivamente messa al macello, e i buchi di sceneggiatura non si contano più. A salvare l’intreccio non basta il collegamento finale (prevedibile) al primo capitolo che, nella mente degli sceneggiatori, ma solo lì, dovrebbe chiudere il cerchio e sciogliere tutti i nodi.

Saw 3D appare come l'episodio interscambiabile di un serial che ha da tempo spezzato la corda, procedendo attratto dai prevedibili guadagni assicurati dal nome e affidandosi alla ripetitività dei suoi topoi, a cui ha sacrificato congruità e verosimiglianza di un intreccio sfuggito a ogni controllo. Perciò la storia di Saw (quella vera, quella con un filo logico) sembrerebbe, come molti pensano, davvero conclusa al terzo episodio. Il resto è un limone spremuto fino alla scorza, una messa in scena caotica e disordinata di trappole, giochi e vittime, colpi di scena senza credibilità, dubbi etici svuotati di contenuto. Forse chi manca è proprio lui: l’Enigmista, con la "e" maiuscola; colui che dava un senso a tutto ciò; colui che dava un profondo significato etico e, al contempo, ironico al "vivere o morire, fai la tua scelta". Gli eredi che hanno cercato di raccogliere il suo cinico testamento filosofico non si sono rivelati all'altezza del maestro.

Tutto ciò che spaventava nei primi film, ora non fa più sussultare sulla poltrona. Non spaventano più i pupazzi su due ruote, non impressionano le vestaglie rosse, non funzionano più le maschere suine: come in un rewind, l’immagine si distorce e il castello di sabbia crolla, tornando indietro fino al pioniere low budget di sei anni fa, che resterà impresso nell'immaginario degli amanti dell'orrore puro.

Di certo, il 3D non aiuta. E’ un furbo escamotage, una trappola alla Jigsaw, usata per trascinare al cinema quella parte di fans che avevano già mollato la presa e quella fetta di probabili spettatori, amanti della moda e perciò del nuovo formato tridimensionale, che da qualche tempo affollano le sale per la gioia dei produttori, che convertono in 3D qualsiasi cosa. Non basta qualche brandello di carne che vola in faccia al pubblico a giustificare il prezzo del biglietto.

Si sente, inoltre, l'assenza, in cabina di regia, di una mano forte, capace di sterzate brusche. Il procedere di Kevin Greuter è dettato da vignette di crudeltà assortite, in stile Rube Goldberg. Una forza d’inerzia condita con sporadici colpi di genio che comunque hanno reso la saga di Saw superiore alla media di qualsiasi altro prodotto contemporaneo analogo. Basta dare un'occhiata alle locandine: c’é più creatività lì che in qualsiasi altro horror visto recentemente sul grande schermo.

Siamo giunti pertanto alla fine. Cosa resta? Resta una saga che ha marchiato un decennio, che ha inaugurato un genere, che ci ha regalato uno dei personaggi più originali e carismatici degli horror di ogni tempo. Una saga che non verrà facilmente dimenticata.

Game Over.