Poco tempo dopo i tragici fatti occorsi nel film precedente, Rachel e suo figlio si sono trasferiti in un piccolo paesino di montagna per dimenticare Samara e la sua maledizione.

Quando la videocassetta maledetta comincia a fare vittime anche nella quiete di Asheville, Rachel capirà di doversi confrontare una volta per tutte con la terribile bambina-fantasma…

Tentiamo un approccio da “teoria delle cospirazioni”.

I giapponesi hanno clonato Hideo Nakata e hanno inviato a lavorare negli Stati Uniti una sua copia sbiadita.

Questo doppelganger è arrivato nella terra dove osano le aquile e ha imbastito il sequel di The Ring sfruttando le versioni impallidite, edulcorate di quelli che sono i temi basilari nella poetica del filmaker orientale: l’acqua e tutti i suoi possibili simbolismi, il rapporto genitoriale, le case vuote come spazio inquietante e fonte di male, la tecnologia come mezzo privilegiato di manifestazione ectoplasmica…

The Ring Two esordisce con una sequenza quasi craveniana, due teen ager alle prese con il videotape malvagio, la mdp scivola morbida su volti e stanze: quando squilla il telefono quasi ci aspettiamo che all’altro capo ci sia l’assassino di Scream con i suoi quiz sui film horror. Invece si muore di paura solo per, successivamente, ammazzarsi di noia.

Nakata viaggia a corrente alternata e confonde le carte in tavola tradendo le aspettative del pubblico in più di una occasione. Tutte le informazioni, le regole che avevamo accettato nel primo, mediocre film di Gore Verbinski vengono ora tralasciate, niente più giorni di attesa dopo aver visionato la vhs, niente più possibilità di evitare la vendetta del fantasma diffondendone la maledizione. Samara diventa uno spirito onnipotente, capace di travalicare i limiti della non-carne per poter agire quando e come vuole.

Immaginate di andare al cinema per vedere un film sui vampiri: nel primo tempo vi spiegano per filo e per segno che i nosferatu possono essere, poniamo il caso, uccisi unicamente dalla luce del sole. Nel secondo tempo invece i vampiri scorazzano per le strade durante il 15 agosto alle dodici esatte, senza subire alcun danno. Non vi sentireste traditi?

Questo è quanto accade, purtroppo, in questo sequel.

Lo sceneggiatore, nel tentativo (comandato dalla Dreamworks di “topolino” Steven Spielberg) di approntare le fondamenta per una serie duratura nel tempo affronta la stesura dello script tentando di dare ulteriore profondità al personaggio di Samara, nuova icona horror.

Da qui le varie informazioni aggiuntive sul suo passato, la costruzione del mito con un processo di stratificazione progressiva che ricorda un po’ quanto avvenuto ad altri grandi “mostri” cinematografici contemporanei (Jason e compagnia danzante). Si cercano di fissare punti di forza e debolezze in un gioco che ricorda da vicino le vecchie schede Marvel con i superpoteri dei vari personaggi.

E’ un processo più vicino alla fantasy che all’orrore e il film, inevitabilmente, ne risente.

Nakata orchestra alcune scene realmente spettacolari: la carica dei cervi, con quei momenti sospesi di terror panico, l’intera sequenza ambientata nella fiera contadina, la memorabile gravità inversa nel bagno, con l’acqua che scorre verso l’alto e la stupefacente risalita di Samara lungo le pareti del pozzo. Ma la pellicola, al di fuori di questi momenti, involve lungo i binari di una prevedibile quest da parte di Naomi Watts con il solito svolgimento: esposizione progressiva del problema – acquisizione delle armi (conoscenza, risoluzione, coraggio) – risoluzione del problema attraverso armi e fede.

Ecco quindi che, in nome della fantasy prima accennata, scompaiono orrore e terrore per lasciar posto a un generale senso di meraviglia, di curiosità verso certi aspetti della leggenda, di sbalordimento nei confronti del progresso compiuto dal settore degli effetti speciali. Nulla di male, beninteso, si tratta esclusivamente di un progressivo spostamento di genere.

La psicologia dei vari personaggi è totalmente inesistente quando non casca nelle strumentalizzazioni più becere (la scena del confronto in ospedale fra madre e psichiatra dei servizi sociali è quanto di più falso ci sia dato di vedere) e la Watts, unico elemento valido del cast, non entra in alchimia con il resto degli attori. Ottimo, ma somministrato con il contagocce, il make up del mago Rick Baker, fastidiose certe pubblicità nemmeno troppo nascoste.

Samara appare molto meno inquietante rispetto al precedente episodio e la scelta di farla parlare a lungo, pur comprensibile ai fini della futura economia del serial, è fallimentare all’interno della semantica del lungometraggio. Affascinante la figura della bambina non morta come possibile antitesi del Freddy di Nightmare, con la prima incapace di vedere (sentire) e spadroneggiare nei nostri sogni e il secondo che proprio negli incubi trova il momento di maggiore potere.

Mi si permettano infine due righe di plauso al cinema Orfeo di Milano, coraggioso nel rimodernare i suoi locali e, in tempo di dominio dei terribili multisala, proporre ben all’interno della metropoli alcune fra le strutture più belle e valide della regione.