Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale i nazisti in combutta con il mago Rasputin evocano una creatura diabolica che compare nella forma di un bambino infernale. Prima che i tedeschi riescano a sfruttarlo come arma le forze alleate riescono a debellare il piano e prendono in custodia il bambino. Passa una cinquantina d’anni e il bambino infernale è diventato l’agente di punta del Centro per la Ricerca e Difesa dal Paranormale. Hellboy, con l’aiuto della pirocinetica Liz Sherman e della creatura anfibia Abrham Sapien dovrà nuovamente confrontarsi con i redivivi nazisti (coadiuvati nuovamente da Rasputin) che intendono aprire un portale per permettere alla divinità Ogdru-Jahad di portare il caos sulla Terra

L’odierna crisi che attraversa l’horror non è certo dovuta alla mancanza di titoli in sala, anzi, le grandi produzioni hollywoodiane sembrano pervase da un crescente interesse verso il genere. Se bisogna individuare un elemento preciso questo è da ricercarsi nell’assenza di una nuova generazione di autori in grado di alternarsi ai vari Cronenberg, Carpenter, Romero, Craven, Hooper che sembrano ormai incapaci di dialogare e ragionare sulle tematiche di un tempo (e, beninteso, alcuni di loro non sono mai stati reali autori horror).

Ecco quindi che salutiamo con entusiasmo la conferma di un giovane talento che, pur con notevoli concessioni allo spettacolo e all’ibridazione dell’horror con altri generi, si conferma come possibile punto di riferimento nel campo, capace di portare avanti un discorso personale all’interno di tutti i suoi titoli.

Hellboy, uno dei migliori fumetti americani degli ultimi anni, era già da tempo nei sogni di Guillermo del Toro che è finalmente riuscito a portare su schermo, con rara efficacia, i sogni e gli incubi di Mike Mignola. E il regista lo fa innestando sul già portentoso testo di base (un misto di nazisti, esoteristi, creature lovecraftiane, supereroi d’antan, gotico, folklore, miti e dissacrante ironia..) tutte le sue fissazioni private.

Hellboy riesce a essere insieme trasposizione fedele di un fumetto (in particolar modo della mini serie iniziale Il seme della distruzione) e proseguimento di una personale ricerca estetica iniziata fin dai film d’esordio.

La mutazione del corpo, la creazione di nuove e singolari teratologie vista come proposizione di nuovi canoni estetici, i protagonisti spesso colti in una dimensione sospesa fra bene e male, fra umano e bestiale/demoniaco, l’ossessione per fluidi e liquidi dai vari gradi di vischiosità, una serie di antagonisti che spesso si rifiutano di essere dipinti come totalmente sgradevoli e maligni, gli interni descritti con minuzia quasi esasperata...

Sono questi tutti elementi caratteristici di del Toro e possiamo ritrovarli anche nel suo ultimo film che, in effetti, rappresenta la summa teorica di tutta la poetica del regista messicano.

Nodo centrale dell’opera è naturalmente il protagonista: il ragazzo infernale trova in Ron Perlman l’interprete adatto e il veicolo ideale (corpo massiccio, tratti del volto tagliati con l’accetta, un misto perfetto di ironia e amarezza) per lo stupefacente artigianato di Rick Baker e della sua Cinovation che, grazie a interminabili sedute di make up, riesce a dar vita concreta ai mostri di carta di Mignola. Ma se è doveroso ricordare i meriti del truccatore bisogna a sottolineare che è anche grazie a una sceneggiatura dai dialoghi efficaci che riusciamo presto a “dimenticare” la condizione mostruosa di un Hellboy o di un Abe per vederli come semplici personaggi, rendendoci partecipi delle loro emozioni come raramente accade in pellicole di questo tipo. Perlman dà sfogo a tutta la sua verve grottesca con una serie di punch lines alle quali è impossibile resistere.

Gli effetti in CGI, pur risultando inferiori al lavoro di Baker non risultano mai eccessivi o fini a sé stessi grazie a un regista che, conoscendo bene il suo mestiere, sa quando affidarsi alla grafica computerizzata e quando rivolgersi all’elemento umano. Proprio a tal proposito impossibile non sottolineare l’apporto di Guillermo Navarro, assiduo collaboratorre del regista, che riesce a creare una fotografia che oscilla fra le atmosfere torbide e malate di certi momenti e i passaggi dai colori e ombre decisi e violenti di chiara matrice fumettesca. Ottimo anche il lavoro alle scenografie, ancora più basilare del solito nello stabilire un continuum con certi ambienti proposti da Mignola su carta.

Il vertiginoso mix di tematiche e atmosfere può scoraggiare coloro che vanno in cerca dell’orrore tout court così come la pervicace ironia di fondo rischia di allontanare gli amanti del macabro a tinte fosche ma in definitiva non si può che plaudire una pellicola del genere che riesce con successo in vari campi, dalla portare sullo schermo un fumetto (operazione sempre rischiosa) al giocare in equilibrio fra i generi senza confondere lo spettatore. Non mancano alcuni momenti dal forte impatto orrorifico resi con notevole gusto estetico (la rinascita di Rasputin su tutti) che entrano di diritto nelle scene da ricordare di questo 2004 cinematografico.