Dopo le escursioni industrial di Reign of light e Solar soul e quelle elettroniche di Era one, nessuno si sarebbe aspettato dai Samael  un ritorno alla violenza così radicale. Il combo svizzero si è sempre dedicato a un black metal atipico, abbastanza lontano dai canoni del true norwegian, sia dal punto di vista musicale sia per le tematiche trattate. D'altronde, se non si è nati affacciati a un fiordo, cercare di scimmiottare ciò che solo ai norvegesi riesce (non sempre) con classe, sarebbe un'operazione priva di senso artistico. I Samael sono una di quelle band che ha preso spunto dalla corrente musicale dell'estremo nord, ma che ha saputo trovare e mantenere con successo una propria identità.

Pur avendo variato ripetutamente veste, e seguito un notevole percorso evolutivo, la musica dei Samael ha mantenuto sempre quelle caratteristiche che hanno saputo renderla unica: ritmiche per certi versi ballabili unite ad atmosfere oscure ma mai nichiliste, anzi pregne di quella filosofia ricca di speranza. Proprio per questa atipicità la musica dei Samael può addirittura rendere difficoltosa la loro collocazione all'interno del panorama black. In un genere musicale in cui la fanno da padrone i montuosi panorami nordici piuttosto che il tipico atteggiamento misantropo dei militanti più estremisti, trovare posto per tematiche che, riduttivamente, vanno dalla pace fra i popoli alla ricerca della spiritualità religiosa e filosofica, può risultare impervio.

Tuttavia è altrettanto difficile escludere da tale ambito un album come Above, che, con sommo stupore dei più, si presenta come una vigorosa sterzata verso il metal estremo. Questo non vuol dire che i Samael siano tornati sui loro passi. Per quanto possa risultare difficile da immaginare, le melodie orecchiabili e le ritmiche industrial continuano a costituire le fondamenta dell'opera degli svizzeri. Su questo cuore pulsante di vita, Vorph e compagni riversano una densa colata di riff impenetrabili uniti a mitragliate di drum-machine, confezionate con discrezione da quei synth che ultimamente avevano preso il sopravvento nelle loro composizioni e che stavolta vengono relegati a un ruolo di sottofondo. Il risultato è uno dei più interessanti lavori dell'anno in corso.

Under one flag, inno marziale efficace e coinvolgente, ci introduce con violenza alla nuova opera dei Samael. I riff di chitarra in tremolo-picking, sostenuti dalle scariche telluriche della batteria, fanno immediatamente capire che ci sarà poco spazio per il disincanto spensierato cui ci avevano abituati gli ultimi lavori della band. Il testo certo non brilla per originalità, ma l'ottimo arrangiamento e la musicalità che Vorph riesce a dare alla metrica ne garantisce il successo.

Il medesimo concetto viene ribadito con gli episodi successivi. Virtual war attacca con una linea di chitarra un po' più elaborata e catchy, ma non tarda molto a riprendere i violenti flussi di note tipici del black non appena i vocals distorti di Vorph fanno irruzione. Polygames, al contrario, comincia fin da subito con un riff dalla violenza inaudita, mentre il singer si diletta in un'interessante sequenza di suoni onomatopeici.

Earth country chiarisce definitivamente quale sia la guerra invocata dai Samael: una guerra spirituale che deve avere lo scopo di riunire tutti i popoli in un unico grande regno. L'attacco ritmato e il metronomo impostato su una velocità più moderata scandiscono il nobile e fiero ritornello: “Sowing the seed in every one, for the seed to became a tree, for the tree to become a wood, for that wood to be the land of our earth country.” Illumination, al contrario, richiama le tematiche più intimiste tipiche dei Samael, riguardanti il potere dell'immaginazione e l'importanza fondamentale della variabilità nel pensiero individuale.

Segue quello che forse è l'episodio più riuscito dell'intero album, Black hole, song di estrema semplicità, ma efficace e diretta, formata da un ritornello che riesce a rimanere in testa tanto per il testo quanto per la travolgente ondata sonora. Le lyrics di In there fanno sfogare ancora una volta Vorph in una serie di risate e incitazioni vocali che non mancano di essere riportate sul booklet. La carica dei riff e l'energia del vocalist non si riducono minimamente, nonostante la presenza di passaggi un po' meno veloci, ma sempre ritmati. L'attacco di Dark side, forse la meno convincente dell'intero album, fa pensare a un altro episodio danzereccio, ma la song non tarda a stupire mutando improvvisamente in una colata inarrestabile di puro black metal. Con God's snake si torna all'andamento ritmico marziale che è caratteristico di Above. Forse proprio per la sua posizione quasi in coda, l'episodio esalta l'ascoltatore meno di quanto facciano le tracce che l'hanno preceduta, nonostante la sua indubbia qualità. La degna conclusione è On the top of it all, che si introduce delicatamente per poi esplodere nelle energiche linee delle sei corde e nei cori travolgenti di Vorph, sostenuti dalle tastiere di Xy che, oltre ad aver condotto la battaglia da dietro le pelli e la programmazione della drum-machine, ci ricorda l'importanza che ha avuto al synth. D'altronde si sa, la qualità risiede nei particolari.

Infine chi ha scelto di acquistare la versione digipak dell'album potrà deliziarsi con il remix di Black hole, che ci fa notare che, dietro agli intrichi dei distorsori, in realtà i Samael sono sempre gli stessi, sempre pronti a stupire e disorientare. Above è indubbiamente un album da non farsi scappare.