Questa recensione inizia con una polemica.

Il banditore di Joan Samson è il primo volume della collana Macabre di Sperling & Kupfer. Come suggerisce il titolo, questa collana vuole rendere omaggio a Stephen King e al suo concetto di orrore. E Il banditore, finora inedito in Italia, sembra sia una delle storie più amate dal Re.

Nei giorni scorsi alcuni – da autodefinizione – “puristi dell’horror” hanno gridato allo scandalo definendo questa nuova collana e lo stesso King una mera operazione commerciale che nulla di buono avrebbe portato al genere.

Se da un lato è innegabile che l’editoria è chiamata a fare i conti con il mercato, è altrettanto vero che King non è un semplice imbrattacarte, ma autore di opere eccellenti, personali, significative. Ha saputo creare personaggi indimenticabili che sembrano conoscere qualcosa di noi. Ha inoltre sfruttato con generosità la propria popolarità, facendo pubblicità ad altri autori.

King ha dunque fatto molto di più di chiunque altro per ampliare il pubblico dell’horror, non solo a proprio vantaggio, e se anche ultimamente lo abbiamo visto lanciarsi in endorsement con una certa facilità, rimane uno degli autori più importanti, nonché una delle voci più autorevoli. E quindi sì, se a Stephen King piace un libro, una serie o un film, possiamo fidarci.

Tutto questo con buona pace di quanti sembrano impegnati a tentare di mantenere un genere di nicchia ancora più di nicchia. Perché non è con l’elitarismo che si aiuta l’horror a conquistare il riconoscimento che merita.

Passiamo ora a parlare di Il banditore, primo e unico romanzo di Joan Samson, pubblicato nel 1976 e amatissimo da King.

Non si tratta di un romanzo horror secondo la definizione classica, non ci sono sovrannaturale o scene particolarmente violente. A lasciare turbati è il racconto di una profonda solitudine, un senso di smarrimento che è frutto del non sentirsi mai del tutto adeguati.

Perché Il banditore non racconta l’isolamento, ma l’insicurezza dovuta allo scontro tra l’America rurale e quella metropolitana. Racconta la convinzione che il vecchio sia da cancellare, che il vecchio debba cedere il passo al nuovo il più velocemente possibile, senza possibilità di scelta.

E il nuovo è rappresentato da Perly Dunsmore, uomo di mondo che si insinua in una piccola comunità di campagna. Sorridente e scintillante insozza tutto, costruendo il suo regno del terrore attraverso un senso di minaccia costante, attraverso una violenza mai taciuta eppure mai del tutto esplicitata.

Dunsmore arriva e trasforma i ricordi in accessori per ricchi, i sentimenti in fronzoli da calpestare.

Samson costruisce una storia perfetta, attraverso un lessico immediato alimenta una tensione che si fa sempre più insopportabile. Sappiamo che il peggio sta per arrivare e rimaniamo ad attenderlo inermi, in un racconto che si fa sempre più opprimente mentre assistiamo compiersi l’inevitabile.

Eppure Samson non racconta nulla di nuovo, del resto sappiamo che la storia dell’America si basa sulla violenza, sul sopruso. Gli Usa sono stati costruiti strappando agli altri. A sconvolgere non è però il racconto di quello che è già conosciuto, ma il modo in cui viene raccontato. Una piramide di angoscia perfetta in cui ogni parola è misurata e conduce al climax.

Il banditore è quindi un romanzo necessario che scava dentro i sentimenti e lascia smarriti, un libro imperdibile per gli amanti dell’horror.

Fidatevi del Re!