Rafael è giovane, affascinante e rapace. Ha ben in mente cosa vuole dalla vita e intende sfruttare la sua posizione di capo del settore abbigliamento femminile di un grande magazzino per tentare un’ulteriore scalata sociale. Governa la sua porzione di piano come un capobranco godendo anche dei favori sessuali delle splendide commesse.

Sul suo cammino si pone però il responsabile del settore maschile, un attempato gay dall’improbabile parrucchino corvino. Quando, in seguito a una feroce colluttazione Rafael uccide il suo rivale le cose precipitano velocemente: Lourdes, commessa bruttina e nevrotica, lo aiuta a sbarazzarsi del cadavere e fornisce un alibi alla polizia. Inizia l’inferno per il povero Rafael che, ricattato da Lourdes, dovrà soddisfarne ogni desiderio fino al matrimonio che, come si sa, contiene nella sua formula la nota frase “finché morte non vi separi”.

Álex de la Iglesia confeziona un suo particolare e grottesco european psycho aggredendo con ferocia il consumismo moderno che ci rende schiavi di merci e televisione, intrappolati in un meccanismo competitivo dove si sopravvive e ci si evolve letteralmente a spese della vita altrui.

Lo fa con una narrazione irresistibilmente comica e sensuale, grazie alla strepitosa prova dell’intero cast e a una tecnica affinata nei precedenti lungometraggi, ricca di trovate d’impatto e stilisticamente ineccepibili.

Pellicola dal ritmo quasi insostenibile e dal flusso di battute continuo che strappa risate ad alta voce (mi sono ritrovato in alcuni momenti a piangere dal ridere e, vi assicuro, non ero il solo) ma sotto il rictus della iena si nasconde la triste realtà della tv cannibale (con tanto di allucinata derisione di programmi trash), il grigio destino della solitudine in mezzo alla folla, del sesso vissuto come moneta di scambio e, sopra ogni altra cosa, della disgregazione definitiva del tessuto dei rapporti personali e famigliari.

Con un occhio a Buñuel e uno al migliore Almodóvar, de la Iglesia inserisce in mezzo al flusso dello humor alcune autentiche perle macabre: dalla colluttazione con omicidio nel camerino al tentativo di sbarazzarsi del cadavere (fra teste bruciate, vomito, mannaie, sangue e sguardi folli) fino alle apparizioni del fantasma (nella migliore tradizione beetlejuiciana), lo spettatore viene continuamente sballottato attraverso i poli più veri e centrali della nostra vita.

Sesso, violenza, morte, risate: ogni istante colpisce nel segno, e se le splendide commesse fanno salire in alto il mercurio del nostro personale erotometro è anche vero che tanta è la “mostruosa” bravura di Mónica Cervera che alla fine è proprio la bruttina a sembrarci più famelica, arrapante e sensuale delle siliconate commesse.

Ottima anche la prova di Guillermo Toledo, in bilico fra sensualità, sicurezza di sé, e crollo depressivo-nevrotico.

Particolarmente irresistibile, da autentico mal di pancia, il momento nel quale Rafael deve cenare per la prima volta a casa di Lourdes, con tanto di padre narcolettico che dorme col naso nella zuppa di ceci, madre-mantide, castrante e virago, e sorellina psicopatica in preda a raptus omicidi e convinta di essere stata stuprata dall’insegnante di ginnastica e, di conseguenza, incinta e malata di Aids. Azzeccatissime anche le apparizioni del fantasma, che cambia continuamente vestito e dispensa consigli di moda provenienti nientemeno che da Versace stesso!

L’orrore della risata amara e il terrore dei salotti del ceto medio, fra collezioni di porcellane, uova di Fabergé e matrimoni lisergico/televisivi. Piccolo capolavoro.