John A. Keel, l'autore de Il caso Mothman, è un continuatore dell'opera di Charles Fort. Fort era un ometto dedito alla vita solitaria, che viveva recluso a New York, all'inizio del '900, insieme a una moglie assai paziente e a un numero sterminato di ritagli di giornale: come un personaggio lovecraftiano (evidentemente certe suggestioni erano nell'aria, in quegli anni), lo scopo della sua vita era quello di inseguire il mistero, qualsiasi forma si presentasse. Piogge di rane e di sangue, immense macchine volanti nel cielo, cattedrali sulla luna, mostri pelosi con gli occhi fiammeggianti... tutto ciò che la stampa e le riviste di divulgazione riportavano di curioso e anomalo finiva ritagliato da Fort e inserito nei suoi archivi. Un sedentario cacciatore di stranezze, insomma, al quale dobbiamo la monumentale opera Il libro dei dannati, dove con la parola dannati si intendono proprio gli "eventi" esclusi dalla scienza ufficiale perché inspiegabili.

Il caso dell'Uomo Falena, che terrorizzò a lungo Point Pleasant, nel West Virginia, rientra certamente in questa categoria. Keel, al contrario del suo maestro, non è un "topo di biblioteca" ma un autentico cacciatore di mostri in perenne movimento; un uomo d'azione, insomma, pronto a tuffarsi nel mistero armato del senso di stupore tipico di un bambino e dare la caccia al terrorizzante umanoide simile a un volatile o a una falena.

Il caso Mothman, già pubblicato un paio di anni fa col titolo The Mothman Prophecies, è una via di mezzo tra un diario personale, un racconto dell'orrore e un saggio. Si tratta certamente di un opera di "contaminazione" che qualcuno potrebbe paragonare al "realismo magico" del Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. La struttura è quella a cui il lettore di libri di ufologia, parapsicologia e spiritismo è abituato: un caso dietro l'altro, descritto con stile giornalistico, asciutto, mai più lungo di una decina di pagine, a formare un puzzle di eventi che solo la buona volontà del lettore può incastrare insieme. Uno stile antinarrativo, verrebbe da dire, che paradossalmente si lascia leggere meglio di tanti romanzi zeppi di dettagli superflui.

Attraverso un gran numero di "casi" (in verità nessuno dei quali decentemente documentato), l'autore ricostruisce non soltanto le gesta incomprensibili di Mothman, ma allestisce un gigantesco scenario pieno di UFO, profezie e mutilazioni animali.

Le chiavi di lettura del libro sono molteplici, e influiscono notevolmente sul giudizio finale che ognuno può dare. Contrariamente agli altri due libri di Keel (Creature dall'ignoto e Operazione cavallo di Troia) questo Caso Mothman non ha quasi nessuna divisione per argomento, non tenta di proporre tassonomie, teorie e riflessioni pseudoscientifiche. E' la cronaca di qualcosa di straordinariamente folle capitato davanti agli occhi di molti testimoni, e culminato con un tragico disastro. Una cronaca che non tenta di dare alcuna spiegazione dell'ignoto su base empirica, come di solito fanno i troppi volumi dedicati all'ufologia, ma che piuttosto usa gli eventi come dimostrazione pratica di due massime di Charles Fort: gli esseri umani sono proprietà altrui e se c'è una Mente universale, deve per forza essere sana di mente?... Keel, in alcuni punti, sembra tendere a un delirio degno di William Burroughs. La minaccia soprannaturale prende forme tali da risultare grottesca e divertente. Strani ometti impacciati che dicono di venire da colonie di nudisti extrasolari, entità aliene che si comportano come divi del cinema, Men In Black pasticcioni, afasici e vestiti come degli imbecilli.

Il film, per certi versi, non rende giustizia a questa peculiarità dell'opera di Keel. The Mothman Prophecies (2002, di Mark Pellington con Richard Gere), infatti, cerca a tutti i costi di mettere in scena una storia dotata di logica, come in fondo è inevitabile per un film destinato ai multisala, e vi aggiunge persino una moraletta decisamente new age del tutto assente dal libro di Keel.

Purtroppo - godibile follia a parte - alcune autocelebrazioni dell'autore, la ripetitività degli eventi, la scrittura a volte confusa, possono rendere Il caso Mothman un osso duro anche per gli amanti sfegatati del genere. Ci sono momenti in cui si ha l'impressione di avere tra le mani il prodotto di una mente troppo allucinata per regalare coerenza alla vicenda, di un paranoico con manie di grandezza e di persecuzione, ciarpame senza ne capo né coda. In altri momenti, invece, la narrazione riesce a regalare un brivido perché la follia della "Mente universale" (o di Keel stesso) si manifesta sulla pagina in tutto il suo tenebroso splendore.

Il consiglio è di leggere questo libro solo se siete interessati a farvi intrattenere per un paio d'ore dall'Assurdo, e se siete disposti a "sospendere" il vostro giudizio riguardo a ciò che è vero e ciò che non lo è (e magari siete alla ricerca di qualche spunto per un racconto o un romanzo horror o di fantascienza). La cosa migliore sarebbe di dedicarsi a questo lavoro di Keel dopo aver letto quelli precedenti e il Libro dei dannati di Fort: tutto materiale che purtroppo oggi è praticamente introvabile.