Come giudichereste voi la fine del mondo? Pura fantascienza, una trama thriller piena di suspense oppure una realtà horror ai confini della realtà? Perché per poter parlare di Knowing, in arte Segnali dal Futuro, bisogna fare un salto nel passato e andare a ripescare una vecchia categorizzazione di genere. Categorizzazione elaborata negli anni '70 da Charles Derry, che nel suo Dark Dreams disponendo gli stili dell'horror conia il termine "l'orrore dell'armageddon" instillato nelle persone da eventi che sfumano nel fantascientifico (Derry mette in questa categoria il film Gli Uccelli di Alfred Hitchcock) e che narrano vicende di distruzione di massa in cui l’uomo è vittima di eventi da cui non si può fuggire.

In breve, negli anni '50, alcuni alunni di una scuola elementare inglobano nella capsula del tempo (un contenitore metallico) le loro aspettative sul futuro in disegni di varia natura. A finire nel contenitore dei sogni però oltre a illustrazioni e speranze ci arriva anche un foglio, quello scritto dalla piccola Lucinda Embry (Lara Robinson), in cui sono annotate una varietà di numeri all'apparenza casuali. Nessuno dà credito all'opera di una bambina mite e un po' stramba fino a quando cinque decadi dopo, durante il cinquantesimo anniversario dell'istituto elementare, i sogni dei bambini non vengono portati alla luce insieme a una sconcertante realtà che il professor John Koestler (Nicolas Cage) Astrofisico del MIT (Massachusetts Institute of Technology) scorge nella serie numerica consegnata casualmente al figlio, Caleb, iscritto in quella stessa scuola. Ogni gruppetto di valori rappresenta data, giorno e luoghi di eventi catastrofici già avventui e che verranno. Ma c’è di più, John, inizia a mano a mano a realizzare che Caleb sarebbe, in qualche modo, collegato a tutti questi eventi misteriosi. Con l’aiuto di Diana Wayland (Rose Byrne) e Abby Wayland (Lara Robinson), rispettivamente la figlia e la nipote della ragazzina autrice del profetico messaggio, John si lancia in una folle corsa contro il tempo per tentare di prevenire l’imminente catastrofe, iniziando un viaggio interiore che lo porterà a scontrarsi da una parte con il suo passato e, dall'altra, con le autorità che cerca di mettere in guardia dal futuro.

In questa sequela di eventi, Segnali dal Futuro si districa in contesti sui generi, passando da lati prettamente drammatici in cui si risalta l'abnegazione di un padre nei confronti dell'ultimo componente della sua famiglia a trame quasi sovrannaturali con la comparsa di loschi uomini in nero, presenze alla Mothman Prophecies, di cui si capirà la natura soltanto nel finale. Gli indizi iniziano a circolare e durante un focus group con il suo collega scienziato, John viene ammutolito dall'amico che non si spiega una serie di numeri apparentemente inutili, e quindi non determinanti le catastrofi. Anche se è solo questione di tempo nel capire che quei numeri indecifrabili in realtà rappresentano le coordinate degli eventi trascorsi e prossimi.

Inizia così il dibattito tematico in cui si cerca di capire se gli eventi sono predeterminati o casuali e nel frattempo se si può intervenire come variabile esterna per cambiare il futuro. Perché è proprio quest'ultimo a essere in gioco. Il piccolo Caleb nel frattempo continua a essere perseguitato dai men in black che predicono un oscuro finale, mentre John cerca di ricomporre la profezia, tra una paternale da buon samaritano, e una spasmodica ricerca dell'arcano numerico.

Purtroppo però, nonostante la trama sembri densa di enigmi, le fondamenta della struttura cedono dopo un'oretta di misteri ed effetti mastodontici. Alcuni elementi, come i sassi neri ricorrenti nelle scene con gli uomini in nero, non trovano riscontro nell'arco del film, a meno che non lo si voglia per forza. Così come l'utilizzo dei sub-plot (i personaggi secondari) che se da una parte portano avanti la trama, dall'altro annacquano la storia, ricomparendo per comodità narrative. Stesso leit-motive per i dialoghi paternalistici del personaggio di Cage e quelli del figlio troppo Discovery Channel dipendenti.

Insomma, la lunga vita dello script, "steso" in circa otto anni, non passa inosservato. E forse troppe idee sul concept iniziale hanno fatto sì che la storia fosse in qualche modo sistemata a seconda del periodo in cui veniva scritta, abbandonando nel plot antiche tracce di trama simili a rovine di castelli in città industriali. L'emblematicità di quanto si afferma trova il suo apice nella stanza privata di John, dove il professore si rintana per riflettere e meditare. Una stanza con le mura smunte che appesantiscono più del dovuto il dramma familiare.  Ma l'idea di partenza era ben diversa. Perché quella stanza è così deprimente? Non ce lo spiega nessuno, se non gli addetti ai lavori  nel pressbook dato ai giornalisti in cui si evince un filo narrativo abbandonato, in cui Cage e la famiglia si trasferiscono in una villa del New England, in disuso, con l'idea di ridipingerla tutti insieme appasionatamente; idea che resta in piedi fino alla tragica morte dell'amata che porterà John ad abbandonare i lavori di rifinitura. Così avrebbe avuto senso, il discorso sarebbe cambiato e avrebbe dato una maggiore profondità al contesto, ma nel film questa realtà resta un misero dettaglio che non viene spiegato. E questo senza contare l'apporto del regista che una volta messo sotto contratto ha rimodellato la storia, con una moltitudine di idee scientifiche, religiose e filosofiche, allargando il focus della trama a vari contesti, concezioni e persone. Et voilà, spiegato il mistero di alcuni nodi ingarbugliati.

Ma se da una parte è vero che il nastro narrativo è vittima del tempo e delle situazioni famigliari dei suoi curatori (il produttore Blumenthal è diventato padre nei famosi otto anni e anche la storia ha subito le conseguenze, diventando un una storia famigliare), è pur vero che l'esteriorità del film non ha precedenti. Fattori che questo genere di film predilige.

A parte la colonna sonora di Marco Beltrami, stellare ed emozionante, la scenografia, gli effetti speciali  e l'ingegneria sonora regalano una esperienza che difficilmente dimenticherete (anche se molto  dipende dalla sala cinematografica in cui vi recherete). Ogni singola scena di azione regala forti emozioni, mentre viene data una sterzata nella diatriba determinismo-casualità con un finale religioso, new age, o fantascientifico che apre la porta ad altre teorie, dibattiti, e lunghe conversazioni da farsi sulla strada del ritorno, in macchina, e che al di là di tutto resta spettacolare in tutte le accezioni possibili del termine. E anche se le trame, le azioni e i dialoghi dei personaggi a volte non convincono appieno, il film regala emozioni fortissime, restituendo dove la trama si assottiglia, esperienze difficilmente ripercorribili. Un film del genere per la vicinanza con altre pellicole potrebbe perdere la battaglia sul modo di condurre la trama per i motivi di cui sopra, ma non nell'esteriorità, nelle atmosfere e negli effetti speciali che a oggi meriterebbero l'Oscar, e questo senza contare la performance dei piccoli attori, davvero all'altezza, con una Lara Robinson nel doppio ruolo, della giovane Lucinda Embry prima e nelle vesti di Abby Wayland (la nipote di Lucinda) dopo. 

Segnali Dal Futuro, il cui giusto voto sosterrebbe tra le tre e le quattro stelline, è certamente una meraviglia degli effetti speciali e della scenografia, a cui non resterete di certo indifferenti, ma con una consapevolezza, che alcuni dubbi rimarranno insoluti per cause familiari o famigliari...