“Benjamin Barker è un barbiere londinese, accusato di un crimine mai commesso dal lussurioso giudice Turpin, che approfitterà della prigionia dell'uomo per manifestare i suoi desideri verso la moglie di lui, la bella e virtuosa Lucy. Tornato a Londra dopo 15 anni di lavori forzati, e aiutato nella sua evasione dall'amico marinaio Anthony Hope, Benjamin scopre che la moglie si è sucidata col veleno, non riuscendo a sopportare la vergogna di essere stata violentata da Turpin, e che sua figlia è stata adottata dal giudice stesso e tenuta in casa come prigioniera, vittima di mire incestuose da parte dell'uomo. Benjamin Barker, assetato di vendetta, cambia il proprio nome in Sweeney Todd, e insieme alla padrona di casa Ms. Lovett pianifica la propria rivalsa, che passerà per la lama del suo agile rasoio.”

Dopo La sposa cadavere e la mezza delusione di La fabbrica di cioccolato, Tim Burton ritorna in grande stile dietro la cinepresa, di nuovo alla regia di una grottesca fiaba musicale. Ma per coloro che sono diventati indolenti al Burton degli ultimi anni, abbandotatosi ai colorati buonismi del motion-capture e delle favole per marmocchi cattivi, oggi possono trarre un malefico respiro di sollievo, perché Sweeney Todd non sarà un film al quale vorrete accompagnare fratellini e figlioletti. Per carità, niente in contrario alle ultime fantasie di Burton, che pur non mancano di grandi pregi. Eppure, i fan del regista non potranno che salutare con enorme benvenuto questa sua brusca virata verso l'inferno. Non quello colorato e pieno di jazz della sposa cadavere, ma quello vero, pieno di sangue e puzzolente di zolfo.

Burton ritorna fra le villette vittoriane e i vicoli bui tipici dell'iconografia ottocentesca, dove ormai il regista si sente di giocare in casa, ammantato dell'atmosfera cupa e decadente di cui abbiamo già fatto esperienza in Il mistero di Sleepy Hollow e nella Sposa cadavere. Anche il suo attore feticcio Johnny Depp già diverso tempo fa ha camminato lungo gli acciottolati londinesi illuminati da fatiscenti lampioni a gas, dando la caccia al serial killer più famoso del mondo in La vera storia di Jack lo Squartatore. Solo che questa volta l'attore sta dalla parte dei ladri piuttosto che delle guardie. E dove Burton valorizza la storia con una regia accuratissima e significativa in ogni più piccola inquadratura, con una cura maniacale per il dettaglio e una sapiente composizione di tutti gli elementi visivi e musicali del film, l'istrionico Depp interpreta magistralmente uno dei personaggi più affascinanti degli ultimi anni, un serial killer mezzo demone e mezzo angelo vendicatore (non a caso “Todd” in tedesco significa

“morte”) con il compito simbolico di portare il giudizio universale sui membri dell'aristocrazia londinese, corrotta almeno quanto lui è malvagio, e di cui il giudice Turpin (Alan Rickman) ne è solo una personificazione di comodo, un avatar da punire solo per educarne cento.

E mentre Depp troneggia sulla scena cantando sorprendentemente bene e facendo balenare il suo rasoio d'argento con la maestria di uno spadaccino, non possiamo dimenticare l'ottima prova attoriale della stregonesca Ms. Lovett/Helena Bonham Carter, forse anche migliore della sua controparte maschile data l'elevata complessità del ruolo, che la vede costretta a far coincidere nello stesso volto un demone efferato impastatore di carni umane, una sposa innamorata e sognatrice, e una madre mancata e premurosa nei confronti del piccolo apprendista Toby (Ed Sanders). E grazie al cielo per i sottotitoli, che ci permettono di godere del suo canto allucinato dallo splendido accento inglese, tanto che pare un peccato tornare alla madre lingua.

Un horror in cui non mancano gli elementi di commedia, basato su una storia dagli elementi di sicuro successo. All'apparenza una semplice storia di vendetta, dotata di un classico arco strutturale pronto a guidarci fino al climax finale. Eppure, è la prova che nelle mani di un regista capace anche la storia più semplice si trasforma in un capolavoro. Burton sembra aver fatto propria la lezione hitchcockiana del far aspettare lo spettatore per assicurarsi la sua attenzione: sappiamo tutti che la vendetta di Todd si consumerà in qualche modo, e il regista fa di tutto per farci desiderare il momento della pugnalata finale, tirando la corda della suspence fino a farci battere il cuore, perché “metà del divertimento di un piano sta nella sua pianificazione”, come dice Ms. Lovett. Nel regno fatastico di Burton, il “sense of wonder” si fa largo indisturbato, tramutando ogni scena in un'occasione per spiazzare lo spettatore, sempre incerto sul se rimanere terrorizzato dalla ferocia di Todd, ridere alle sue battute, penare per la sua sofferenza o canticchiare insieme a lui. Il più delle volte, si galleggerà in un piacevole effetto di straniamento, che forse si affievolisce solo nel secondo tempo, dove la bizzarria piano piano diventa la norma.

Sweeney Todd & Mrs. Lovett
Sweeney Todd & Mrs. Lovett
Sweeney Todd sembra parlare il linguaggio dei sogni. Ogni personaggio è uno stereotipo controllato, ogni inquadratura sembra avere valenze iperboliche, ogni scena è visivamente esagerata. E tutto questo senza mai far cadere la sospensione dell'incredulità, rendendoci così consapevoli del sogno, ma allo stesso tempo impedendoci di svegliarci.

Almeno metà dell'appeal del film è dovuto all'infernale ambientazione londinese, descritta perfettamente da Todd come “un buco nero abitato solo da feccia”, e alla fotografia, che merita un elogio particolare: i colori cupi e smorti la fanno da padrone per tutto il film, la Londra di Burton pare quasi in bianco e nero, malvagia e corrotta come tutti i suoi abitanti, eccezione fatta per i biondi capelli della giovane Johanna (Jayne Wisener) e il volto luminoso del romantico Anthony Hope (Jamie Campbell Bower), gli unici personaggi portatori di un animo completamente nobile. E a fare da contasto al bianco e nero, eventualmente arriva il sangue. Tanto sangue, un bagno di sangue, tirato fuori dalle giugulari dei “clienti” di Todd, che offrono spontaneamente la gola al proprio assassino come in una sorta di terrificante segno di resa primordiale. Un sangue finto, fintissimo, che pare quasi vernice rossa, e che proprio per questo affascina, mantenendosi coerente all'irrealtà totale del film e accecando la vista dello spettatore che si è abituato al buio della pellicola.

E quasi ci si dimentica di avere di fronte un musical, tanto la colonna sonora di Stephen Sondheim è integrata alle immagini. Non si canta mai a sproposito, ogni personaggio mantiene il proprio stile musicale coerente con le azioni e con il proprio personaggio: Sweeney Todd borbotta, ringhia e sputa fuoco come un cantante metal, Ms. Lovett cinguetta come una matrona un po' svampita, il barbiere Adolfo Pirelli (Sacha Baron Cohen) solfeggia nel classico napoletano maccheronico tipico del barbiere di Siviglia, e persino il lacché di Turpin riesce a canalizzare nel canto l'ossequiosità verso il proprio padrone. Forse le musiche tendono a diventare ripetitive più avanti nel film, ma per fortuna non c'è mai il rischio di stancarsi.

Sweeney Todd è un monito per tutti i film horror scadenti che si sono alternati negli ultimi anni. E' la prova che questo è un genere che ha ancora tanto da dare a chi sa tendergli la mano, che un ottimo regista è in grado di terrorizzare partendo proprio dai contenuti, senza essere costretto a svilirsi cadendo nello splatter fine a sé stesso o facendo bu! allo spettatore proprio quando sta per arrendersi al sonno.

Sweeney Todd è un film per quegli adulti ancora in grado di abbandonarsi al senso del fantastico tipico delle grottesche fiabe dei Grimm (quando ancora intonse dal buonismo disneyano), facendosi rapire dalle immagini come fossero fuochi artificiali, senza stare troppo ad analizzare.

Soprattutto, Sweeney Todd è un ottimo film di paura. Finalmente.