Pettinati, truccati e strapazzati, i vampiri preferiscono l’America e si godono il bel momento, beneficiando di una celebrità che conta ormai numerosissime trasposizioni cinematografiche. Una razza di dannati che continua ad avere un forte ascendente sull’immaginario collettivo, la cui condizione solleva spesso inquietanti interrogativi. E questa volta a voler dire la sua è stata una voce molto autorevole, quella di Tim Burton (Beetlejuice, 1988, Edward mani di forbice, 1990), con una gran voglia di risvegliare la forza di un mito popolare che da sempre ci fa riflettere su bene e male.

L’amore perduto è sempre la causa di tutto, l’origine di ogni sofferenza. E l’immortalità è la croce peggiore per chiunque speri di incontrare di nuovo la propria metà, in un mondo meno crudele di questo. È Barnabas Collins, figlio di un ricco imprenditore, giovane di bell’aspetto, innamorato follemente della dolce Josette, lo sfortunato personaggio che in Dark Shadow si trova a vestire i panni dell’eroe maledetto. Condannato dalla gelosia della potente strega Angelique, è a lui che spetta la triste sorte dell’eterna sete di sangue e, come se non bastasse, un isolamento dal mondo lungo qualche secolo. Sarà il 1972 quando il vampiro riuscirà a tornare al suo maniero, in un epoca completamente cambiata, in una città ormai sotto il giogo della bella strega, ancora viva e splendente, che ora veste i panni di un’imprenditrice senza scrupoli.

La coppia più dark del cinema Burton e Johnny Depp (Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street Sweeney, 2007, La fabbrica di cioccolato, 2005) irrompe così tra le 200 stanze di un maxi castello con un vampiro dallo stile unico, un po’ vintage, con trasfusioni di psichedelia e un alto dosaggio di commedia e romanticismo. Dato che nulla si crea e nulla si distrugge, il saggio regista ha avuto la buona idea di prendere spunto dalla bizzarra serie televisiva omonima (Dark Shadow, 1966-1971) di Dan Curtis, riadattata per il grande schermo grazie alla sceneggiatura di Seth Grahame-Smith (Hard Times - Tempi duri per RJ Berger, 2010-2011). Il risultato raggiunto è senz’altro al di spora della media e delle mode. Tim Burton dimostra di saper guardare alle cose in modo insolito e svela aspetti inconsueti anche in terreni come quello dei vampiri, in cui il cinema sta facendo incursione da un bel pezzo, ultimamente con scarsi risultati.

Toccando tematiche ad alto rischio quali amore, gelosia e avidità il film scivola sopra banalità e cliché senza mai scadere nello scontato o prendersi troppo sul serio. La sottile ironia presente sullo sfondo dell’intera storia rimane la caratteristica vincente di tutta la ricetta, con un Depp che sembra dover ridere da un momento all’altro e il quadretto della famiglia Collins che ricorda tanto l’aria grottesca e divertente che si respira in casa Addams.

All’interno del mondo creato da Burton la stranezza è ciò che vale. Tra le righe si potrebbe anche leggere una sottile vena critica nei confronti di ogni conformismo. In tal senso un film come questo può suonare proprio come una provocazione. In un periodo in cui anche uno dei personaggi più inquietanti della storia della letteratura può essere ridotto a dandy da soap opera, l’unico modo per riappropriarci del valore tragico della figura del vampiro è forse tratteggiarlo con tutte le risorse della fantasia e gli espedienti di una calibratissima comicità, per arrivare a sprigionare ancora una volta quella magia che può giungere fino alle soglie dell’incubo.