Non ci è dato di sapere molto su Sophia, se non immaginare che fosse bellissima. Ad ogni modo, accartocciato in fondo a un cassetto in una stanza della casa di Fiumetto, ingiallito e dimenticato, é stato trovato un foglio di carta a righe scritto a mano. La calligrafia è certamente quella di Francesco. Qui ne riportiamo la parte ancora leggibile:

...quoziente intellettivo altissimo. Altissima anche lei. E dolcissima. Basta conoscerla e viverci insieme. Sophia parla il cinese e l’ungherese e il francese e, ovvio, l’italiano, che dice di averlo imparato in due settimane. E sogna... passione più grande, la poesia... la danza. Adora ballare... andata a scuola di danza classica fin da bambina... Suo padre... meno seriosa, più giocosa, un’altra persona... quella più seria, timida e per certi versi fragile ad avere il sopravvento. Divisa in due e piena di dubbi, Sophia è una presenza seducente, vitale, ma al tempo stesso vulnerabile... è dura da mandare giù...

Sandro si stese sul divano, nel soggiorno. E loro due nell’unico letto. Un letto matrimoniale di quelli di una volta, immenso, un palcoscenico per gli amanti. Ma troppo cigolante. Sandro mise in fretta sul piatto il primo disco che gli capitò tra le mani e alzò il volume al massimo. “Il re non si diverte”, Roberto Vecchioni, 1973.

il suo più grande amore abbiam cercato

e coi capelli sciolti adesso è qui

Più tardi, il disco era finito, Francesco si addormentò con parole sussurrategli da Sophia nell’orecchio. “Adoro l’animale che è in te”. Ma anche la voce di Vecchioni sentiva ancora, nella testa, che diceva: “fuori la luna nel cielo è alta già”. E fece due sogni, Francesco. Nel primo Sophia gli regalava delle mutande e sua madre (di Francesco, non di Sophia) lo rimproverava perché non bisogna mai parlare di mutande, soprattutto in un sogno. Il secondo sogno non se lo sarebbe ricordato mai.

Quale mai poteva essere il modesto segreto di Sophia? Francesco sapeva solo che non covava la Bestia, non lei. Lei era normale ed era questo forse il motivo per cui l’amava così tanto.

Potevano essere le quattro, forse meno, quando si svegliò. Rumori. Doveva esserci qualcuno lì fuori. Nel basso-ventre Francesco sentì l’Urlo crescere e la Bestia salirgli su dallo stomaco. Una voglia oscena di carne umana gli arrivò in gola con un gorgoglio. Il Cacciatore era arrivato e gridava il suo verbo:

- E’ giunto febbraio... il mese in cui si ammazzano i porci!

Era la voce di Padre Orlandini. A quel punto si svegliarono tutti e nelle quattro case vicine si accesero le luci. Mentre al forno dei Lorenzi tutto era già vivo e veloce da un po’. Francesco riprese il controllo di sé perché voleva affrontare il suo destino e voleva affrontarlo da uomo e non da lupo. Sophia gli mise una mano sulla spalla sinistra e lui si aspettava, pretendeva, una rivelazione del tipo “Padre Orlandini è mio zio” oppure “Padre Orlandini è il sesto uomo del rito satanico” oppure entrambe le cose, ma lei non disse niente. Sophia si tenne ancora una volta il suo piccolo segreto, come un graffio pruriginoso che portava sul cuore.

Non aveva mai smesso di nevicare e orme di lupo erano ovunque, sui sentieri e sulla collina. Un cerchio di belve si stringeva intorno al Cacciatore. Uno dei lupi Francesco lo riconobbe subito per via di un brandello di vestito che gli era rimasto addosso nonostante la metamorfosi, era Carlo, il vecchio fornaio a cui da bambino rubava i pomodori. C’era anche Marika e si vedeva che lì era la bestia più giovane. E c’era Paolino, che tutti credevano morto e sepolto ormai da tanti anni. E quei “vecchi ragazzi” che avevano condiviso con Francesco le emozioni del rituale magico dello scambio dei fumetti. E Lanfranco. E Roberto. E l’Antonia che aveva vissuto i suoi primi quindici anni senza parlare e poi si era accorta di saperlo fare. E tutti quanti questi fratelli e sorelle si erano rivoltati per Francesco, erano venuti a mostrare il loro pelo a Padre Orlandini.

La neve si verniciò di grandi stelle rosso scuro quando l’urlo del Cacciatore si fece più forte e più agghiacciante di quello delle Bestie, poi si spense di colpo, soffocato dalla sua stessa fede che da troppo tempo, ormai, aveva preso la forma di una croce d’argento affilata e scintillante.

E nei giorni seguenti tutti giurarono e spergiurarono di aver visto un vecchio lupo privo di una zampa che si sarebbe fermato per un momento a guardare Francesco e che poi, stancamente, avrebbe ripreso la sua faticosa scalata della collina delle trincee tedesche, infilandosi nella tempesta di neve.

Mancava poco a un’alba qualsiasi. Aveva smesso di nevicare. In cucina, Sandro si stava impegnando in una sua personale interpretazione della torta di ricotta e scuoteva la testa e sospirava guardando fuori dalla finestra Sophia che danzava a piedi nudi sulla neve. I suoi capelli brillavano al sole di riflessi blu cobalto, sembravano sempre più vivi e danzanti anche loro. In lontananza si udiva il rumore di un trattore. Roberto, figlio di Carlo, cominciò a scaldare il suo furgone blu. Presto sarebbe partito per il suo giro quotidiano dei negozi di tutti i paesi vicini, a portare il pane ancora caldo. Non c’era più nessun vento idiota a soffiare da quelle parti. La campagna era pervasa da migliaia di suoni e di odori. Francesco li percepiva tutti, senza distinzioni. Inspirò con forza e si rese conto di essere qualcosa di grande.

Dopotutto.