Paradiso e Inferno lottano per le nostre anime, con regole ben precise: nessun demone o angelo può entrare direttamente nel nostro piano d’esistenza, ma i “sanguemisto”, esseri dalla natura metà umana e metà ultraterrena, cercano in tutti i modi di spostare l’ago della bilancia per le rispettive fazioni, ammaliando gli umani in mille modi diversi.

Constantine, tornato in vita dopo un tentato suicidio e in grado di vedere i demoni, è un investigatore dell’occulto dedito alla magia e votato alla punizione dei sanguemisto che giocano troppo sporco. Ma sta morendo di cancro, proprio quando il figlio di Satana cerca di “nascere” sulla Terra. Una detective cui è morta la sorella gemella rappresenterà per questo strano mago l’ultima occasione per realizzare qualcosa di buono prima di morire…

Quando all’uscita dalla sala un gruppo di ragazzi 15enni brontola allegramente “Sembra il remake di 18 film diversi tutti in uno...”, capite di non avere assistito al capolavoro dell’anno. Ed è solo il primo di tanti, troppi problemi…

Prima di procedere a parlare del film vero e proprio, sarà bene cercare di affrontare la questione della fedeltà al fumetto. Si tratta di un tema in fondo liquidabile in poche parole, visto che per poter discutere della qualità di una trasposizione serve prima di tutto che ci sia una trasposizione: in Constantine non ne troviamo alcuna traccia. Proprio nessuna.

L’aspetto puramente esteriore/estetico di Hellblazer è stato volutamente aggirato con una precisa politica di americanizzazione di luoghi e personaggi, la psicologia di protagonisti e comprimari rivoltata come un calzino (quando è presente nel film, evento raro in questo copione), le tematiche ritenute “scomode” (politica, morale, sesso, droga, società…) bellamente evitate, e non è nemmeno possibile parlare di scelte di stile che possano ricordarne le pagine originali. La trama conserva solo echi debolissimi di alcuni cicli del Nostro. Il peggior tentativo di adattamento di una serie a fumetti cui abbia mai avuto la sventura di assistere, al cui confronto Spider Man diventa un capolavoro immortale.

Cerchiamo quindi di guardare questo Constantine con altro occhio, ignoriamo il press book e dimentichiamo mesi di notizie e campagne pubblicitarie, facciamo finta di esserci recati a vedere una storia "originale" scritta appositamente per lo schermo.

Fin dai primi fotogrammi ci rendiamo conto di trovarci di fronte al classico prodotto concepito e girato da qualche produttore disposto a scommettere sul nome degli attori coinvolti e su qualche kilobyte di effetti speciali. Scommessa vinta, a giudicare dai risultati al botteghino. Per poter procedere lungo questa formula a un producer di polso e con il portafoglio bello gonfio servono alcuni elementi: le già citate star di richiamo (vittime di uno dei più disastrosi miscasting degli ultimi anni), uno sceneggiatore inesperto e giovane che sappia farsi comandare a puntino senza muovere muscolo (et voilà "mister nessuno" Kevin Brodbin), e un regista disposto a fare da yes man per il suo balzo dal mondo dei videoclip a quello del cinema ("mister nessuno" numero due, Francis Lawrence). A quel punto si organizza qualche seduta di brainstorming con lo sceneggiatore, finendo con lo sfornare un allucinante polpettone a base di triti e banali luoghi comuni, inframezzati alle occasionali scene d’azione (chiamarle “di paura” mi riesce davvero impossibile) studiate per svegliare l’audience con sadica puntualità proprio quando la stessa sta finalmente addormentandosi.

Lawrence, alle prese con un copione contradditorio e contorto, filma la vicenda di questo super detective dell’occulto sfruttando al limite della nausea alcuni stereotipi e meccanismi fissi: vi è una noiosa ridondanza di "confronti a due" in alternanza a scene di movimento che dopo poco tempo diventa una prevedibile costante di tutto il film. Lo stile del regista è quello tipico di parte (per fortuna solo parte) dei professionisti che in questi anni abbiamo visto emergere dal mondo della pubblicità: forzati da sempre a dover esprimere il maggior numero di concetti/valori/informazioni in tre minuti e mezzo, questi talentuosi film maker finiscono con l’usare gli stessi accorgimenti anche sulla lunga distanza, creando un effetto di sovraccarico sensorio/iconico a tratti davvero spiacevole. Lawrence in questo si aggiunge a un già nutrito gruppo che comprende nomi quali Dominic Sena, Tarsem Singh, Simon West o perfino Pitof, in una ideale contrapposizione stilistico/tematica ai loro fratellini videoclippari Spike Jonze e Michel Gondry, che preferiscono altri tipi di approccio.

Purtroppo, per generare e sostenere con efficacia un sovraccarico di questo tipo, lungo più di 90 minuti, servono grandi professionisti in vari e delicati ruoli. Singh lo aveva capito già molti anni fa, e accanto all’uso degli effetti speciali aveva avuto la saggezza di affidarsi a un grande costumista e a stupende scenografie. Lawrence invece cerca di risolvere tutto con gli SFX e non cura nemmeno la fotografia, particolarmente sciatta e scura (Philippe Rousellot, geniale quando lavora con Tim Burton, appare qui ai minimi storici…), giungendo al risultato di far somigliare Constantine al videogioco tratto dal film stesso. È una continua sequela di "accumula conoscenza-aggiungi nuove armi-affronta il boss-salva l’eroina", e il lato disastroso è che alcuni momenti della CGI non sono poi così spettacolari e ben realizzati come ci si potrebbe aspettare da una produzione di questo livello.

I minuti si sgranano fra noia e insofferenza, fra assurdità incredibili (il tirapugni in oro con le croci incise sopra? Ma andiamo!) e dialoghi al limite della soglia del dolore, stuprando di continuo la memoria di Hellblazer fino al blasfemo finale.

Le figure soprannaturali sono tutte già viste e assimilate, e chiunque abbia assistito a titoli quali L’esorcista o L’ultima profezia ne avrà già abbastanza di ragazze possedute che si arrampicano in ogni dove, angeli pel di carota e satanassi ben vestiti, così come i rari squarci d’Inferno somigliano troppo a un qualsiasi livello di Doom o Diablo per poter lasciare qualche traccia duratura.

Vi sono alcune idee pregevoli e singoli istanti d'interesse, ma, inevitabilmente, affogano in questo banale mare immondum. Keanu Reeves è a totale disagio in un personaggio che non sente e che mai potrà sentire: si muove robotico e freddo, affrontando demoni con la stessa espressione di quando fuma o di quando parla con gli amici. Il resto del cast non si distingue da un piatto lavoro di routine, se non per alcuni (Pruit Taylor Vince, Djimon Hounsou e Gavin Rossdale) che sconfinano a tratti nel gigionesco. Efficace il Satana/Lucifero di Peter Stormare, che, pur non aggiungendo nulla di nuovo a questa figura, riesce comunque a evitare tutte le trappole del caso, dando vita a un diavolo ambiguo fra l’umano e l’alieno.

Constantine è insieme insipido compendio del fantastico e becero manifesto del neopuritanesimo americano, con il cinico e iconoclasta personaggio dei fumetti ridotto a un automa ammazzademoni, disposto a chiedere aiuto al buon dio (il vero Hellblazer piuttosto si sarebbe tagliato una mano), poco propenso al bere (quando in ogni albo vi era almeno una memorabile sbronza), e con gomma da masticare (antifumo) finale davvero insopportabile.

L’orrore non abita qui.