Un ingorgo dovuto a un incidente spinge lo studente di medicina Chriss Finn ad abbandonare l’autostrada per cercare una scorciatoia nei boschi della Virginia Occidentale. Presto si imbatterà in altri giovani e insieme finiranno preda di alcuni abitanti dei boschi, sorta di mostruosi cannibali mutati geneticamente da secoli di procreazioni fra parenti stretti…

L’attuale scena horror statunitense sembra vivere una generale dicotomia (con la sana e naturale eccezione di alcuni fortunati e rari prodotti): da un lato un fiume incessante di remake e sequel spesso privi del minimo interesse e dall’altro lato un gruppo di pellicole che, pur non proponendo tematiche o soluzioni formali nuove, riesce a mantenere una buona media qualitativa.

Questo Wrong Turn, che ha impiegato più di un anno per trovare la via alle nostre sale, appartiene senza dubbio al secondo gruppo: collocabile sulla scia dei film cannibali degli anni settanta (da The Texas Chainsaw Massacre a The Hills Have Eyes) la pellicola di Rob Schmidt incrocia questo tema con quello del conflitto città/campagna tipico di pellicole quali Deliverance.

Schmidt riesce a evitare le pastoie del metacinema rifuggendo citazioni, omaggi e movimenti di camera inconsueti, cosa che rafforza lo straordinario senso di tensione che permea la pellicola, una volta tanto non deviato o bloccato da continui riferimenti testuali ad altre fonti; il regista è esclusivamente interessato a mostrarci il massacro perpetrato da alcuni folli individui nei confronti di un gruppo di giovani e riesce a farlo con perizia, alzando il tasso di gore e splatter che in alcuni momenti (la casa dei cannibali, l’inseguimento sugli alberi…) oltrepassa di gran lunga la media cinematografica di questi ultimi anni.

E se il filmaker conferma quanto aveva già mostrato di saper fare in Delitto + Castigo a Suburbia, il soggettista/sceneggiatore (Alan McElroy, proveniente da lavori quali Ballistic o Halloween 4), pur senza grande scavo psicologico, tratteggia un gruppo di giovani privo delle classiche banalità o stereotipizzazioni viste in mille situazioni del genere portando a compimento uno script solido e dai dialoghi assai realistici tenuto conto della materia trattata. A interpretare personaggi migliori del solito vengono chiamati alcuni giovani attori anche loro più efficaci del solito e tutti questi elementi non fanno altro che rafforzare la sensazione di trovarsi di fronte a un film dalle radici forti, un prodotto che pur non rappresentando una pietra miliare dell’horror assicura 90 minuti di ottimo intrattenimento.

Ci sono anche dei settori nei quali Wrong Turn brilla di una luce intensa: dal make up dei mostri (un plauso a Stan Winston che figura anche nella veste di produttore) a certe soluzioni scenografiche che sfiorano il deja vu (il cimitero di macchine, l’antro dei cannibali) ma sanno scavare nel torbido senza ridursi a mere copie carbone di lavori precedenti. L’orrore viene somministrato attraverso quello che possiamo avvertire come un “triplice assalto”: da un lato la pura adrenalina dell’inseguimento e delle uccisioni (alcune davvero “intense”), quindi l’intensità gore delle location e dei mostri e infine la pressione psicologica derivante dall’inspiegabilità delle gesta dei killer, del puro uccidere per uccidere che sembra animare questi mutanti.

Non ci rimane altro che segnalarvi la vera star del film su cui puntare gli occhi, ovvero il cannibale magrolino e ridanciano (sorta di Joker dei boschi…) e invitarvi a dare un occhiata a questo film che, insieme a A tale of two sisters giunge a rischiarare una stagione estiva affollata di titoli horror ma fino a questo punto priva di interesse.