Finalista in numerosi concorsi letterari e presente in altrettante antologie di genere, il romano Daniele Picciuti approda alla sua prima antologia personale intitolata I racconti del sangue e dell’acqua: un titolo evocativo che annuncia il “manifesto programmatico” dell’autore, il filo conduttore dei suoi racconti, due elementi classici nella narrativa dell’orrore e due elementi primari dei quali sono fatti tutti gli esseri umani, il sangue e l’acqua.

Introduce l’autore il maestro dell’horror italiano Danilo Arona che fa un’interessante osservazione sulle antologie, come quella di Daniele: “In Italia le antologie vendono assai meno dei romanzi, ma nonostante ciò continuano a uscire, perché sono il termometro che misura lo stato di salute del genere”.

Un genere, quello dell’horror italiano, che è da sempre bistrattato, ma che è vivo, in piena forma e continua a produrre ogni anno nuovi interessanti autori e nuove opere in grado di dare un significativo contributo, come i racconti di quest’antologia, tutti di buona fattura.

La caratteristica che più colpisce nella narrazione di Daniele Picciuti è il riuscito mix tra uno stile accattivante e maturo (leggetevi il vertiginoso Angeli di sangue) e il racconto dal sapore locale di tradizione nostrana. 

I temi affrontati variano dalle evocazioni nebbiose di creature sanguinarie (Chi ha paura dello spaventapasseri, Queste mie catene), vittime che diventano carnefici (Strappi), solitudine e  perdita dell’innocenza (Nella notte paperino), soffocante paura dell’altro (L’incubo della brughiera), caratterizzati da un ritmo sempre in crescendo fino ad arrivare allo shock finale, alla rivelazione, come nella migliore tradizione dei racconti gotici (da Edgar Allan Poe a Richard Matheson solo per citarne alcuni), e da una narrazione piana, sempre comprensibile, in grado di sospendere il lettore in mondi tenebrosi e capace di fargli perdere la linea di demarcazione tra realtà e finzione.

Nei Racconti di sangue e dell’acqua si riesce a cogliere quella vena folcloristica, così legata a fiabe, miti e tradizioni; le campagne si trasformano in regni senza tempo, dove irrompe l’elemento perturbante, l’orrore: particolare importanza è dedicata alla descrizione del paesaggi, di natura sempre misteriosa e selvaggia e dal sapore lovecraftiano.

E se Picciuti nella prefazione viene accostato, da Arona, a Clive Barker anche se pur lontanamente, a me vengono in mente i racconti di Eraldo Baldini, dove si riconosce la stessa abilità di muoversi con sicurezza tra storia e leggenda, riuscendo a catturare il gusto di un Italia agreste, fonte inesauribile di storie dell’orrore estremamente affascinanti e familiari e, proprio perché più vicine alla nostra realtà, in grado di suscitare una reale angoscia e più di un brivido sulla schiena.

Un autore che si conferma con un’opera riuscita e un nome da tenere a mente per i prossimi lavori.