L’ex galeotto Max Truemont (Josh Holloway) viene assoldato per rapire un bambino di otto anni, figlio di una delle donne più ricche del New England. Della banda fanno parte la sua ragazza Roxanne (Sarah Wayne Callies) e due sconosciuti, come lui al soldo dello stesso misterioso committente. Presto però il rapimento diviene qualcosa di molto particolare quando il bambino, David (Blake Woodruff), inizia a dimostrare di non essere tanto innocente e indifeso e di possedere l’inquietante e maligno potere di entrare nella mente delle persone e di aizzarle l’una contro l’altra.

La mano registica di Stewart Hendler nel realizzare la sceneggiatura di Christopher Borrelli (ex tecnico agli effetti speciali: Armageddon, 1998) pesca abbondantemente nel noto filone horror di Il Presagio (Omen, 1976), La Maledizione di Damien (Damien-Omen II, 1978) e altri successivi, senza aggiungere nulla di particolarmente innovativo e degno di attenzione. Un vero peccato, poiché il filone sarebbe ricco di materia prima per poter confezionare una storia horror che potrebbe aprirsi benissimo a sviluppi narrativi e d’azione inconsueti e creativi, mettendoci un po’ di passione. Invece Hendler sembra quasi intimidito dal soggetto che ha per le mani, e lo manipola infatti con stile anonimo e grigio, riducendo il volume della suspense al minimo, a un “respiro”, come appunto ci segnala già inconsapevolmente il titolo del film. Un “respiro del diavolo” congelato, quindi, esattamente come la location del cottage-prigione isolato tra le nevi del Maine. Anche il lavoro del filmmaker sul gruppo degli attori risulta piatto, ondivago e privo di uno studio psicologico che si riveli minimamente efficace a sottolineare il conflitto mortifero indotto nel gruppo dal bambino demoniaco. Il ritmo con cui gli avvenimenti si susseguono è poi lento, quasi da subito prevedibile (già a partire dalla scena del sequestro capiamo che il bambino è dotato di poteri diabolici che lo portano a determinare eventi efferati), e lo spettatore si abitua ben presto, troppo presto, all’idea che non potrà aspettarsi di vedere nel firmamento i fuochi d’artificio che gli avevano promesso. Per fortuna viene in aiuto la splendida fotografia di Dean Cundey, che esalta gli ambienti e le locations attraverso la sapiente alternanza tra luce bianca e ghiacciata degli esterni e ombre cupe degli interni: d’altra parte Cundey era stato collaboratore di John Carpenter nell’allestimento di Halloween e The Fog, e qui ancora una volta dimostra che la sua classe non è acqua. Tuttavia il lavoro alle luci non è sufficiente a sollevare il film dalla pastoie di una sceneggiatura che annaspa, e poi si perde, in caratterizzazioni e psicologie peraltro molto fragili, se non del tutto improbabili, e il cui posizionamento nello script non è mai del tutto motivato (si veda per esempio la figura del poliziotto di colore, poi ucciso, per intermediazione del bambino, da Roxanne). La figura di Josh Holloway sembra poi decisamente più a suo agio sulle spiagge dell’isola di Lost, da dov’era venuto, che non in questo film). Nemmeno il cosiddetto “"olpo di scena" finale riesce più a sorprenderci, dopo che il film ci si è pigramente srotolato davanti per 90 minuti buoni  senza mai offrirci nessun particolare scossone, sebbene Hendler si prenda la briga di trarre spunto addirittura dallo Shining di Kubrick. In ogni caso, se vogliamo dare i numeri, questo Il respiro del diavolo non si merita certo più di due stelle.