Jennifer (Megan Fox) è una studentessa del liceo di una piccola cittadina che viene posseduta da un demone affamato, dopo essere stata rapita da una rock-band maschile e satanista. Passerà dalla perfidia tipica del liceo - stupenda (senza esserne consapevole) bad girl, ultra esibizionista che si sente superiore agli altri - alla vera perfidia: la cattiveria pura, il Male. La splendente bellezza del liceo diventa una creatura pallida e malaticcia sempre in cerca di uno snack a base di carne. Ragazzi che non avrebbero mai avuto neanche una chance con una tipa dal cuore di pietra come lei, cominciano ad avere un fascino tutto nuovo nell'ottica dell'insaziabile appetito cannibalico di Jennifer. Intanto Needy (Amanda Seyfried), la migliore amica di sempre di Jennifer, che ha a lungo vissuto nella sua ombra, sarà costretta a uscire allo scoperto per difendere i ragazzi della città, compreso il suo migliore amico, il nerd Chip (Johnny Simmons).

Diciamo subito che Jennifer’s Body è uno dei peggiori film partoriti negli ultimi tempi dal ventre molle del genere horror statunitense contemporaneo. Sgomberiamo pure subito il campo da un equivoco dal quale prende le mosse il titolo stesso del film: gli estimatori di Megan Fox non si facciano cioè inutili illusioni, perché il “corpo di Jennifer” non lo vedranno affatto. Il sex-appeal travolgente cui rimanda una già terribile locandina (che ricorda uno z-movie anni ’80 con Alvaro Vitali ed Edvige Fenech), si riduce ad una castigatissima scena lesbo, ristretta come un liofilizzato a una sola inquadratura in close-up, e tale da distruggere qualsiasi vaga evocazione di sensualità residuale. E’ probabile che la regista Karyn Kusama (Aeon Flux, 2005) e soprattutto la sceneggiatrice Diablo Cody (Juno, 2007) risponderebbero a tali notazioni critiche affermando che il loro progetto era appunto quello di allestire un film horror-femminista, utilizzando un genere cinematografico specifico con l’ambizione di innovarlo innestandolo di spunti originali. Primo tra tutti la costruzione di un’eroina horror che vuole essere l’esatto contrario della ragazzina vittima del serial killer di turno, tanto amata dall’immaginario del vile maschio inconsciamente sempre stupratore. Se questo è il messaggio, allora è comprensibile che all’elemento sensuale sia stata messa la sordina. Molto meno comprensibile è l’esito catastrofico di una pellicola che, stilisticamente, semplicemente non funziona. E da molteplici punti di vista. La regia è piatta, grigia, senza peso specifico, resa ancor più inconsistente da un montaggio tagliato con la scure; le sequenze sono infatti come pezzi di legno accatastati dietro casa, nel capanno in giardino. Fotografia, scenografie, costumi e sonoro, cercano in modo esibitivo di colpire i sensi come il neon di un Casino di Las Vegas, ma il loro effetto si ferma qui, non aiutato da un reparto effetti speciali ridotto ai minimi termini e altrettanto ininfluente sulla complessiva messa in scena. Ma ciò che disturba maggiormente di questo film è l’evidente volontà, da parte delle due donne al timone (Kusama & Cody) di voler essere “trendy” a tutti costi, attraverso l’uso di dialoghi finto-giovanilisti al limite del manierismo auto compiaciuto. L’idea di creare un horror al femminile naufraga miseramente generando al contrario due personaggi (Jennifer e Needy) che si trasformano gradualmente sotto i nostri occhi in feticci amorfi e senza spessore. Proprio per questo, se fossi una femminista inorridirei di fronte a tale superficialità nel trattare temi così antropologicamente densi, per giunta da parte di due donne. In ogni caso, analisi sociologiche a parte, il risultato finale è quello di un teen-horror-college-movie qualsiasi che soffre inoltre del grave difetto di non spaventare nemmeno per un attimo lo spettatore, per giunta buttando a mare l’occasione di elaborare temi interessanti (l’antropofagia, la sessualità come rito di iniziazione adolescenziale e le sue paure, la possessione demoniaca, il “doppio” femminile, e altro ancora). Suggerirei quindi a Kusama & Cody di tornare a casa a studiarsi un po’ di storia del cinema di genere, prima rimettersi dietro una macchina da presa, e comunque non prima di aver visionato analiticamente Lezioni di piano (1993) della grande Jane Campion (lei sì, grande e raffinata interprete del “femminile”).

Film assolutamente da evitare.