Dopo la morte del primo vero Enigmista, l'agente Hoffman, il suo discepolo, viene salutato da tutti come il nuovo eroe del distretto. Solo un altro detective, Strahm, che è riuscito a salvarsi da una delle trappole del nuovo Jigsaw, sospetta pesantemente di lui, ma viene messo a riposo. Nel frattempo cinque persone si trovano intrappolate insieme e devono unire gli sforzi per cercare di sopravvivere. Il tutto mentre si avvicina sempre più la resa dei conti fra Hoffman e Strahm...

Mi dispiace per il nutrito gruppo di estimatori di questa saga thriller/horror, ma Saw V mi ha fatto pensare alla comatosa e inesorabile involuzione artistica di Dario Argento. Il fatto che un artista sia oggetto di venerazione da parte di molti, non esime dal cogliere le fragilità strutturali del binario su cui si muove il suo percorso stilistico. La venerazione non riduce infatti la portata di una diagnosi ahimè infausta. Ma torniamo a questo Saw V, malato all’ultimo stadio, se non già anch’esso in coma irreversibile. Meccanico e noioso proprio come le “nuove” trappole mortali che ci vengono presentate: trappole che fanno rimpiangere la spinta innovativa che era presente nel primo Saw, poi esauritasi e letteralmente uccisa nel corso degli amorfi sequel. Mi risulta quindi incomprensibile, come sinora tali sequel siano stati campioni d’incassi, sì da spingere la casa di produzione Lionsgate a pensarne già il n° 6, il n° 7 e forse anche l’ottavo episodio. Incomprensibile se non si calcolano le motivazioni di bieco business, naturalmente. Sul piano artistico siamo infatti alla frutta, ma una frutta già marcita da un pezzo, sola, nel piatto. Il film è una giostra cigolante che gira a vuoto: nessun lavoro di scavo psicologico sui personaggi; nessuna cura registica sul ruolo espressivo degli attori; fotografia da video sado-maso amatoriale, senza alcuno spessore, senza fibra visiva o uso del colore per sostenere ritmo e sequenze che invece scorrono davanti a noi come in uno spento videoclip; colonna sonora ridotta a sottofondo indistinto e quasi fastidioso. Sembra di vedere qualcosa che è stato confezionato specificamente per palati dal gusto molto poco pretenzioso, come quello di certi bambini statunitensi obesi, che mentre sgranocchiano il popcorn, si divertono a guardare Hulk che spiaccica le automobili sull’asfalto. La prima trappola, che ci fa vedere due mani stritolate da morse, ha infatti stimolato il bambino obeso che è in me: a lui è piaciuta molto. Solo a lui, però. Il resto dei congegni, ultima spiaggia di una sceneggiatura messa insieme con lo scotch (ma che ciò nonostante si prende anche troppo sul serio) non generano più nemmeno loro alcun effetto perturbante. Sono pezzi di ferro tipo BricoCenter, esemplarmente rappresentati dalla buffa scatola di vetro da annegamento che vediamo anche in un trailer. Non parliamo poi dei cinque sequestrati all’interno del solito polveroso cunicolo approntato per loro da Jigsaw: i nostri eroi sembrano lì per partecipare a una puntata del vecchio “Giochi senza frontiere”, piuttosto che a un film horror/thriller. Non ci siamo. Proprio non ci siamo. A vedere un film come questo, sorge un’intensa nostalgia per il Vincent Price di “Oscar insanguinato” (1973), e viene subito voglia di andarsi a rivedere varie volte “Eaten Alive”(1977) per disintossicarsi finalmente da tanta scempiaggine in celluloide. Dov’è l’inquietudine? Dove sono i luoghi dove vibra l’angoscia? Dove sono certe attese, certi tempi di suspense, certi piani sequenza insaturi, vuoti, raggelanti, che fanno la vera cifra di un horror? Dov’è la regia? Tutte domande a cui Saw V non sa e non vuole rispondere, e non è facile nutrire la speranza di trovare una risposta nella prossime puntate della serie.