Amityville, 13 novembre 1974. Il giovane Ronald DeFeo si sveglia nel cuore della notte, imbraccia un fucile e stermina la sua famiglia: padre, madre e quattro fratellini. Dichiarerà agli investigatori di essere stato guidato dalla voce di uno spirito che infestava la casa.

Un anno dopo i coniugi Lutz si trasferiscono con i figli nella casa dei loro sogni, ignari del terribile delitto che vi è stato compiuto. Per tutta la famiglia inizia una lenta discesa nell’incubo.

La sinistra dimora di Amityville, con le sue finestre che sembrano occhi, è forse la casa infestata più famosa d’America. Il grande successo commerciale del film originale (1979) era scontato, poiché la vicenda aveva tutti gli ingredienti per attrarre il pubblico: un crimine sanguinoso realmente accaduto, un’agghiacciante storia di fantasmi e soprattutto il bestseller di Jay Anson.

Il film di Stuart Rosenberg raggranellò 80 milioni di dollari, dando il via a un’interminabile catena di sequel e contribuendo ad alimentare la paurosa leggenda.

La Platinum Dunes ha prodotto il remake di Amityville Horror a colpo sicuro, e i buoni incassi ottenuti in America dimostrano quanto gli spettatori amino il genere. La pellicola di Andrew Douglas è però assai diversa dal film originale.

Lo sceneggiatore Scott Kosar ha scritto un copione ispirato solo a grandi linee al romanzo di Jay Anson. La vicenda è ridotta a un incessante susseguirsi di cheap scares, con i fantasmi che escono all’improvviso regalando agli spettatori un bel salto sulle poltroncine. L'oscuro passato della casa viene raccontato più o meno negli stessi termini del primo film. Il resto è déjà-vu, con un pesante debito verso Shining.

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Ryan Reynolds (Blade: Trinity) è bravino, ma poco credibile quando il suo personaggio dovrebbe cadere in un inarrestabile declino psicofisico. L’attore passa un terzo del film a esibire il fisico muscoloso, per poi lamentarsi in continuazione del freddo. Una strana congiuntivite è il solo e inequivocabile sintomo della sua repentina trasformazione da papà affettuoso in Jack Torrance.

La stupenda Melissa George (Alias), ventinove anni, è davvero fuori posto nel suo ruolo di madre di tre figli (di cui uno dodicenne). Anche il suo personaggio si trasforma fin troppo radicalmente. Kathy Lutz, impaurita e indifesa, diventerà ben presto una madre coraggio armata di fucile calibro 12 e persino esperta in bondage.

I tre bambini sono antipatici e piagnoni quanto basta da meritarsi la persecuzione dei malvagi spettri. Memorabile Rachel Nichols, nel ruolo della baby-sitter più sexy dell’anno: solo due genitori psicopatici come i Lutz avrebbero potuto affidare i marmocchi a una specie di groupie seminuda, visibilmente tossicodipendente e per di più fan dei Kiss.

Le incongruenze erano evitabili, e i produttori potevano scegliere un cast meno giovane. A onor del vero gli attori sono competenti, e Reynolds non ci fa rimpiangere (anche se sarebbe davvero difficile) James Brolin.

Una delle rare, terrorizzanti manifestazioni della casa
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Tecnicamente il film è pregevole, nonostante un budget di soli (per gli standard USA) 18 milioni di dollari. Gli effetti speciali sono notevoli, con un make-up sanguinoso al punto giusto e una computer grafica (opera della Industrial Light and Magic) eccellente ma sapientemente dosata. L’ottima fotografia di Peter Lyons Collister è una cornice tenebrosa che rende credibile l’ambientazione anni ’70, grazie anche agli abili inserti di pellicola Super 8.

Una nota di demerito va invece alla colonna sonora. Il produttore Michael Bay ha deciso di farci rimpiangere l’agghiacciante nenia infantile composta da Lalo Schifrin, giudicandola troppo antiquata. Il pur bravo Steve Jablonsky (Steamboy) ha così composto musiche efficaci ma anonime, che accompagnano l’apparizione dei fantasmi con il solito crescendo fracassone di archi e timpani.

Nonostante le sue pecche, Amityville Horror funziona, regalando 89 minuti di piacevole intrattenimento. La regia di mestiere, un montaggio lineare e la scelta di non seguire il plot originale alla lettera sono risultati vincenti. Per vedere questo film bisogna dimenticarsi della mitologia che ha accompagnato la serie originale. Soprattutto è necessario non aspettarsi alcun approfondimento psicologico, e apprezzare la pellicola per quella che è: un’onesta macchina di tensione, semplice ed efficace.