Il 4 maggio scorso ho partecipato all’FP Recording Studio alla conferenza stampa relativa all’uscita del nuovo album dei Death SS, Resurrection. In quell’occasione, quasi trenta giornalisti provenienti da tutta Italia hanno avuto modo di ascoltare il disco in anteprima e ho anticipato qualcosa relativo alla tracklist nel mio report La resurrezione dei Death SS.

Eravamo rimasti al 2006 e alla chiusura del settimo sigillo (vedi il mio speciale sulla storia del gruppo: I 7 sigilli dei Death SS), ma già dal dicembre scorso, con l’uscita dell’EP The Darkest Night, sapevamo che l’horror metal band per antonomasia sarebbe risorta. La nuova line up vede stavolta a fianco di Steve Sylvester il tastierista Freddy Delirio, il bassista Glenn Strange, il chitarrista Al DeNoble e il batterista Bozo Wolff.

Dopo svariati ascolti del promo #22, sono infine pronta ad analizzare i brani track by track e a lasciarvi le mie impressioni su questo disco che uscirà il prossimo 6 giugno (6/6/2+0+1+3) per Lucifer Rising/Self; il promo si mostra leggermente diverso dal CD che ascolterete, considerato che alla data della conferenza stampa il master era arrivato da soli tre giorni dai finlandesi Chartmakers Studio (Rammstein, Volbeat, Apocalyptica) e si era continuato a lavorare sui brani fino alla mattina stessa.

Come già annunciato dal report, il disco si presenta come una sorta di alternanza fra i temi cari alla band: le tracce dispari sono legate ai progetti cinematografici e televisivi, mentre quelle pari riprendono il filone esoterico e il pensiero di Crowley. Il tutto è amalgamato dall’artwork che fa riferimento al mondo dei fumetti sexy-horror italiani degli anni ’70 (altra tematica ricorrente): la copertina e le tavole a corredo sono opera di Emanuele Taglietti, autore di fama internazionale che ha firmato copertine di serie di culto come Belzeba, Zora e Sukia. Se quindi stavolta non si tratta esplicitamente di un concept, è bene sottolineare che i brani non sono così slegati l’uno dall’altro come si potrebbe pensare. Tenendo di conto che, a parte la produzione esecutiva di Vittorio Lombardoni per Lucifer Rising Records, per la prima volta dai tempi dell’album dell’89 la band non si è avvalsa di una produzione esterna, si può intuire che c’è stato un margine molto più ampio in riferimento alle tempistiche e alle scelte compositive e stilistiche, e di conseguenza per riarrangiare tutti i brani già composti in precedenza e omogeneizzarli all’intero lavoro.

La resurrezione parte a ragion veduta con Revived, il brano composto nel 2009 per l’episodio 666 di L’Ispettore Coliandro, con co-protagonista Sylvester nel ruolo di se stesso: “Nelle intenzioni del regista, subito sposate anche da me, il brano avrebbe dovuto parlare del mio ritorno dopo la morte, una sorta di rinascita spirituale intesa come evoluzione dell’essere che abbandona il suo vecchio stato per trasformarsi in qualcosa di nuovo e di più evoluto. Pensandoci, è un po’ anche il concept stesso legato al nome della band. Anche per questo ‘Revived’ è stata scelta come apertura del nuovo album e del nuovo ciclo dei Death SS” (Sylvester). Si tratta di un brano intessuto di suggestioni elettroniche che richiamano le atmosfere industriali di Humanomalies (2002) e che trova la sua forza nelle timbriche crude e grezze, energiche e dirette come il riff, in contrasto con la sperimentazione e i campionamenti. Più indietro nella storia dei Death SS si va con la traccia numero due, The Crimson Shrine, sorta di rielaborazione dell’Inno di Pan che ci riporta alle sonorità di Dou What Thou Wilt (1997), un brano carico di richiami ed elementi sonori e ritmici, riccamente orchestrato dalle tastiere e agghindato di voci femminili, con un episodio solista della chitarra dal sapore hard rock anni ’80. The Darkest Night è legato alla colonna sonora dell’omonimo film horror indipendente italiano già presente nell’Ep di dicembre. Già in quell’occasione avevo sottolineato come con questo pezzo si tornasse invece all’orecchiabilità curata di Panic (2000), “un brano energico e sostenuto nelle ritmiche, graffiante e lancinante negli interventi chitarristici, evocativo nei tappeti e nelle pennellate elettroniche, claustrofobico e nervoso nelle strofe, aperto e accattivante nel ritornello” (da rilevare che le sonorità di questa versione risultano modificate rispetto alla precedente). Dyonisus è un brano dark-goth anni ’80 ispirato a un poema che Crowley ha dedicato al dio greco della forza vitale, dell'ebbrezza e dell'estasi. Efficace e catchy nelle linee melodiche, non a caso è stato scelto quale primo videoclip dell’album (se si escludono quello per The Darkest Night uscito in concomitanza con l’EP e quello di Ogre’s Lullaby per Paura 3D dei Manetti Bros). Carico di tastiere e voci femminili si ricollega, quale traccia pari, alle tematiche ‘crowleyane’ e alle sonorità del secondo brano, ed è uno di quelli che ho preferito in assoluto. Ma l’alternanza talvolta si incrocia: qui, per esempio, troviamo richiami alle colonne sonore dei maestri dell’horror. Eaters è invece un brano - composto per uno splatter-zombie movie prodotto da Uwe Boll - ruvido e aggressivo, in cui la fa da padrone la ritmica; seppur sempre sostenuti da parte della batteria, i valori cambiano spesso attraverso gli interventi degli strumenti a corda. Star in sight, libera interpretazione di One Star in Sight di Crowley, magica ed emotiva nell’invito a cercare dentro di sé la forza per superare i momenti bui, è introdotta da un piano a cui segue tutto l’organico con sonorità quasi epiche; la strofa è claustrofobica e si contrappone in maniera netta al ritornello che si apre su una delle melodie di maggior presa immediata dell’intero lavoro; anche qui troviamo interventi a opera delle voci femminili, mentre l’ennesima ripetizione del ritornello si sovrappone nel finale alla chitarra in maniera seducente, per chiudere il cerchio sul piano. Ogre’s Lullaby è stata invece scritta per Paura 3D dei Manetti Bros: "Volevamo un brano malato, angosciante e claustrofobico che sottolineasse la morbosa pazzia del protagonista” (Sylvester) Il richiamo alle colonne sonore dei cult del passato torna evidente, morboso, il riff ipnotico e acido si trascina pesante in territori doom e black, la voce cantilena la ninna nanna con voce scavata nella gola di un orco, come titolo richiede, e il brano marcia funereo e si dondola catatonico fino alla chiusura. Santa Muerte, che è stata scelta come sigla per il serial poliziesco Squadra Investigativa Speciale, fa convergere i due filoni attraverso l’omonimo culto della santa dalle fattezze scheletriche venerata dai narcotrafficanti ispanici: fra campionamenti radiofonici e riff sinuosi, i colori del Sudamerica sono presenti attraverso ritmiche tribali che richiamano a loro volta anche gli zombie del Baron Samedi di Do What Thou Wilt. Il ritornello e il riff sono luciferini e, come sotto incantesimo, si insinuano nella testa senza uscirne più. Altro ibrido fra le due tematiche cardine è The Devil’s Graal, colonna sonora di un progetto cinematografico non ancora andato in porto con velati riferimenti al caso del mostro di Firenze. “Nella mitologia Thelemica, il Devil’s Graal, rappresenta la Coppa che contiene l’elisir della vita. E’ parte del Magnum Opus, il potenziale che abbiamo in noi” (Sylvester). La traccia parte come una classica ballata heavy e si stratifica attraverso la sperimentazione elettronica; i cambi di valori ritmici rendono la struttura varia, pur inserendola in uno stampo classico, relativamente agli altri pezzi. The song of adoration è “una lunga suite, progressiva e orchestrale, infarcita da elementi etnici e ritualistici mutuati dall’antica tradizione egizia, la cui idea mi venne dalla lettura di un particolare capitolo di ‘Book of the Law’ di Crowley. Un percorso iniziatico musicale di quasi dieci minuti che si sviluppa in diversi movimenti” (Sylvester). Bella e tenebrosa, questa suite progressiva multi sezionata si protrae per oltre nove minuti presentando una sovrapposizione sonora di oltre cento tracce in studio. Un lavoro monumentale e curato nei dettagli che, con eleganza e ottime idee,  riesce tuttavia a non far pesare la sua lunghezza e complessità. Dosata con buon gusto in tutti i movimenti, dall’introduzione esotica alle strofe cupe e piane, dal ritornello arioso e corale alla sezione centrale dominata dalle intriganti voci femminili e dalle tastiere, dalla ripresa della struttura nella seconda metà all’evocativo solo finale della chitarra che sfuma nell’orchestra. Precognition, horror fantasy dalla produzione travagliata che non ha ancora visto la luce, incentrato sugli stati alterati di percezione, si associa a un brano grezzo e sostenuto di impianto abbastanza classico che ‘altera’ anche le ritmiche e le tonalità a seconda della sezione di riferimento; il ritmo è irresistibile, il ritornello aperto ed efficace, l’impatto complessivo aggressivo ed energico. Si chiude con il divertissement Bad Luck, che Sylvester dedica ai calunniatori scaramantici: “E’ il nostro modo, ironico e rock’n roll, per mandare definitivamente al diavolo tutti i superstiziosi detrattori della band!” (Sylvester). Un rock and roll ruvido ed essenziale nel dare risalto al semplice messaggio, divertito e divertente.

Tirando le fila, quello che avrebbe potuto apparire solo un collage di materiale preesistente preposto a una resurrezione fine a se stessa si rivela in definitiva un lavoro che va oltre la maturità stilistica sia per le scelte effettuate in fase di composizione e arrangiamento sia per la struttura stessa della scaletta. Un lavoro nel complesso ottimo che merita sicuramente la prevista distribuzione all’estero in contemporanea a quella in Italia.