Lui doveva scoprire nuovi metodi, se i vecchi non funzionavano, per far vi­brare il filo sul quale stavano in equilibrio la tranquillità, la sicurezza; doveva cercare il punto debole nell'armatura dell'insensibilità umana. Era nato per que­sto e i suoi scritti, se non irritavano il male direttamente, partecipavano a svilup­parne le qualità caratteristiche. Uno scrittore come lui non avrebbe mai ammesso che i nervi degli uomini moderni fossero immuni dallo stupore e dal timore che gli spettri avevano sempre ispirato, ma era costretto a confessare che il terrore un tempo era stata cosa di ben altra energia.

Era pur vero che gli antenati dell'uomo avevano scarsissimi libri, non riceve­vano che una o due lettere l'anno, leggevano giornali con notizie vecchie di mesi, e non erano così profondamente scettici e invulnerabili alla paura. Gli antenati potevano contare su lunghe ore da trascorrere davanti a un camino, bevendo li­quori alla luce di candele e ascoltando una voce narrare notti buie e dense di leggende. Ma via via che si erano sollevati i veli dell'ignoto, la fantasia degli uomini s'era impoverita, la notte s'era svuotava ed era diventava meno scura. Il soprannaturale era scemato come una pozza asciugata dal sole.

Come doveva essere sconcertante la Terra in altri tempi, quando era piena di mistero; come doveva essere tetra e terribile l'oscurità della notte, quando era colma d'esseri favolosi sconosciuti, errabondi e malefici, di cui non era possibile riconoscere le forme, il cui timore gelava il cuore, il cui potere occulto superava i limiti del pensiero.

I fatti che un tempo avrebbero terrorizzato l'animo più saldo non conservava­no il loro potere, gli accadimenti d'ogni giorno, saturi di violenza, immunizzava­no le coscienze degli uomini ormai sospettosi del mistero. I fantasmi facevano solo sorridere. Oggigiorno la colazione era condita da un banchetto d'orrori, più numerosi in una sola mattina di quello servito in un anno agli antenati.

I1 vero orrore, la paura, era una sensazione atroce, una decomposizione del­l'anima, un orribile spasmo della mente e del cuore, il cui solo ricordo faceva rabbrividire d'angoscia; angoscia che nasceva dalle più comuni e meno dannose aberrazioni delle facoltà mentali e che a volte si sottraeva a ogni spiegazione e analisi. Un'entità che spesso il sole disperdeva come una nebbia e che rimaneva inespressa, acquattata dietro le parole.

Scortato dai suoi sogni, Lovecraft continuò la corsa, e per istinto evitò, senza sapere perché, i radi chiarori della luna.

Gli sembrava d'essere più vicino di quanto sospettasse. A cosa? A qualunque cosa, a chiunque.

All'improvviso scorse, proprio di fronte a sé, l'ingresso di un edificio quadra­to, dall'aspetto borghese. S'era alzato dalla foschia come un'apparizione di pietra e, malgrado la sua architettura severa, malgrado i vapori uggiosi e fantastici in cui era avvolto, Lovecraft vi riconobbe subito una certa aria d'ospitalità cordiale che lo rasserenò.

Si decise a suonare. Il campanello squillò stranamente, come se quel suono vibrante echeggiasse in una casa vuota.

Attese; nessuno rispose, nessuno aprì la porta. Suonò di nuovo; attese ancora: niente.

Picchiò con piedi e mani e il portone rimase ostinatamente chiuso.

Dalla finestra del suo studio riusciva soltanto a vedere la perfezione spietata con cui zia Annie aveva riordinato il fitto strato di lettere depositate dalla distri­buzione della posta degli ultimi giorni. C'erano lettere di riviste, missive d'amici e nemici e giornali, tutti accumulati sul tavolo con lo stesso rigore. C'erano libri nuovi e consunti. Nulla era scomparso durante il suo sonno, ma egli aveva la sensazione che mettendo piede in quella stanza ordinata avrebbe rischiato d'interrompere invisibili conciliaboli, nei quali esseri in carne e ossa era meglio non mettessero becco.

Sullo scrittoio, un foglio con il nudo scheletro dell'ultima frase rimasta a metà. Sulla poltrona, l'orrore di una cosa, di un essere oscenamente accomodato, dove egli aveva sognato solo il bello. Una presenza abietta, incognita.

Proprio in quel momento la porta di casa si aprì e Lovecraft riconobbe l'orrore nello sguardo di zia Annie. Stava tremando, terrorizzata da lui.

Nel suo stato di paura, Howard era più terribile dello spaventoso essere, crea­tura o presenza che fosse. II terrore di una persona perse­guitata poteva dunque risultare terrorizzante?