Lo ascolto con le labbra tremanti, mentre saette di polvere mi martoriano il corpo. Una folata possente gonfia il panno di un canestro, lo gonfia e lo solleva, sciogliendone i nodi. Mi avvicino di un passo e le vedo: adagiate sul fondo, colorate dal livore della putrefazione, mi scherniscono le teste mozzate di Uno, il Duesessi, e dei miei figli, gli avvelenatori. Così intuisco il segreto celato dalla compassione dei sudari. Una cesta per ogni Sigillo caduto, un recipiente per ogni valore tradito. E a marcire nell’intreccio dei vimini, le teste recise delle mie concubine, del Prete Medio, dei dodici Generali, dei Preti Minori, dei Pentarchi. Non le vedo, ma ne avverto il biasimo, meno il perdono. La domanda è superflua, oziosa, frustrante. Ma i denti serrati non riescono a trattenerla: - C’è qualcosa di diverso che io possa fare?

Il servo scuote la testa antica e mi risponde in un soffio. - Non c’è, mio Reggente, non c’è nulla di diverso e più ragionevole. Colui-che-si-avvicina-a-grandi-balzi è pronto a sfondare le porte. E’ impaziente, furioso, agita gli artigli. Ma l’ultimo scudo lo blocca e nega alle sue legioni alate l’acceso al Quadrante... Il pioppo non cadrà, mio Signore, non cadrà il pioppo e nemmeno il Sigillo, se la cesta rimarrà vuota. Ascolta il tuo servo, fai ciò che devi, non permettere che la statica corruzione delle orrende avanguardie accompagni il Quadrante alla fine dei tempi. Non uccidere la speranza, apri la strada al caos della regressione totale: dall’abisso più nefando si risale solo dopo aver toccato il fondo.

E’ nel giusto, il servo è nel giusto, questo lo so, l’ho sempre saputo. Non posso che cedere alla saggezza del suo consiglio.

- Quando? - gli chiedo.

- Adesso, mio Signore, devi farlo adesso. Completa l’orrore.

Con un unico gesto, un gesto ormai atteso, si sfila la veste di sacco e, nudo, piega la testa sul canestro vuoto. Come vermi di pietra, sulla pelle vecchia delle braccia, delle gambe, del torace, le mille cicatrici che donarono il sangue alla magia dei Sigilli. Il colpo di spada che vibro è feroce, preciso, non permette grido né sofferenza. E l’intreccio della settima cesta accoglie, in un tonfo, la testa rasata del servo, la testa mozzata del Prete Maggiore. L’ultimo orrore è compiuto.

Il turbine muore di colpo, la polvere smette di fustigare il mio corpo e si posa. Nel silenzio terrificante che subentra al fragore del vento, l’ultimo pioppo crolla di schianto e il sangue dei caratteri occulti si sgretola e vola nell’acqua.

Immobile, ascolto il silenzio e, nell’attimo breve, assaporo un frammento di pace. Poi, il cielo velato si oscura, coperto dalla nuvola immonda delle legioni alate. Colui-che-si-avvicina-a-grandi-balzi ha sfondato le porte.

Il demone è qui, che striscia nelle mie carni e raffredda le ossa.

Il demone è qui e reclama il suo premio.