A dire che questo sequel di una trasposizione da videogame non sia un gran film, non si scopre certo l'acqua calda. Sembra che il genere, sia esso horror, fantastico, fantascienza o una improbabile mescolanza di elementi, sia diventato ormai serbatoio di una serie di pellicole dall'inutilità pressoché totale, con sceneggiature ovvie e bucherellate, interpreti e personaggi insignificanti, regia nel migliore dei casi banale: la lista sarebbe lunga, da La leggenda degli uomini straordinari a Van Helsing. Ma l'inutilità non sta tanto in questi elementi in difetto, quanto nell'incapacità di divertire. L'unico modo per valutare Resident Evil: Apocalypse, senza stroncarlo del tutto, è metterlo a confronto con recenti produzioni simili, per scoprire che nel p(i)attume complessivo spicca leggermente, pur senza uscire dal calderone dei film usa e getta.

I presupposti sono abbastanza buoni: si tratta di un sequel nel senso migliore, in cui piuttosto che replicare uno schema, si espande il concetto originario. O, almeno, ci si prova. Al centro ancora Alice, sempre più un incrocio tra una componente degli X-men e Ellen Ripley, ma nell'intera città posta sotto quarantena lottano per sopravvivere nuovi personaggi: la poliziotta (?) Jill Valentine, alta un metro e un puffo ma che spara bene e ha un vestitino azzurro di ottimo appeal estetico (devo dirlo in un'altra maniera?), un militare dallo spessore psicologico minimo, ma comunque superiore a quello dei propri compagni (che infatti schiattano), una spalla di colore, classico barbone simpatico, con gli optional di autista. Non sono più i soli zombi il pericolo da affrontare, bensì nuovi mostri, e la Multinazionale Cattiva entra in gioco con Nemesis, la (ma va?) nemesi di Alice, grosso, cattivo e brutto quanto lei è agile e fascinosa. Lo script, con i suoi problemi ma almeno privo di correzioni a pennarello (vedi La leggenda degli uomini straordinari, anzi, non vederlo!), fluisce via come acqua fresca, senza sorprese, senza novità, anzi particolarmente scopiazzato in diversi punti (la redenzione alla Darth Vader è una chicca di demenziale involontario). Se si cancellano dalla propria mente gli ultimi minuti, trailer del capitolo successivo, c'è pure un finale più o meno decente, e la regia, quando non deraglia con la macchina da presa che pare ancorata a un bufalo ubriaco, si mantiene su una tranquilla nullità. Il film che ne risulta non è inguardabile come Van Helsing, né modaiolo come Underworld, per un risultato onorevole, soprattutto se teniamo conto di questo strano “reset” dei giudizi. Paul W. S. Anderson, che già non è uno sciamano per conto proprio, si è ritirato al ruolo di produttore e sceneggiatore, lasciando a dirigere l'esordiente Alexander Witt. Se c'è differenza, non l'ho trovata.

Milla Jovovich, una delle poche "raison d'être" di Resident Evil: Apocalypse
Milla Jovovich, una delle poche "raison d'être" di Resident Evil: Apocalypse

Viene da chiedersi se esista un “pubblico ideale” per questo tipo di film, che possa apprezzarlo. Se esiste, si tratta probabilmente dei giovanissimi, cresciuti a pop-corn e videogame, che desiderano qualche emozione paccottiglia e ignorano se anche si tratta di merce riciclata. A costoro, verrebbe da consigliare di ripescare i veri film sugli zombi, sperando che non detestino il bianco e nero. Per gli altri, l'unica nota positiva sembra essere Milla Jovovich: ha fascino e una bellezza non banale, l'abbiamo vista dare buone prove recitative, per esempio con la direzione di Wim Wenders in Million dollar hotel, e potrebbe aspirare al posto di una nuova Sigourney Weaver, se non fosse così inconsistente tutta la pellicola che le sta intorno. E se si presta a simili ciofeche, risulta facile anche dubitare che sia davvero così brava.