Il viaggio di un gruppo di ragazzi viene interrotto dall'immancabile incidente di percorso. Per rimettere in sesto l'automobile, si addentreranno nello sperduto paese di Ambrose, dall'apparenza disabitato. Incontreranno presto sulla loro strada il museo delle cere locale, e l'inquietante vicenda che circonda la famiglia che lo ha creato e custodito.

Uno spunto affascinante, pur se riciclato, un avvio interessante e con qualche guizzo, uno sviluppo e una conclusione tanto ordinari da essere mediocri. Questo, in sintesi estrema, quello che si può dire di La maschera di cera, debitore nel titolo e in poco altro all'omonimo film del '53 che segnò l'esordio nel genere di sua altezza Vincent Price.

Siamo ovviamente dalle parti degli horror adolescenziali di routine, con un attore che arriva dritto da Dawson's Creek (Murray) e il resto del cast di provenienza quasi uniformemente televisiva, in cui spicca la molto appariscente Paris Hilton, più nota per certe sue “imprese” censurate che per il grande o piccolo schermo. La produzione ha avuto almeno la saggezza di affidarle un ruolo non centrale, quale tappezzeria di lusso per la gioia dei maschietti (ma non sperateci troppo, “poca carnazza, siamo americani”).

L'insieme è passabile, soprattutto nella prima parte. La sceneggiatura non scopre subito tutte le carte, mantenendo a lungo un discreto coinvolgimento, senza bisogno di effettacci, e il prologo sembra promettere bene. Le strade di campagna, il campeggio e il fuoristrada misterioso vi faranno chiedere se il Crystal Lake sia nei paraggi, ma è una ben misera soddisfazione.

Proseguendo nella visione, il film rivela una crudeltà compiaciuta e alcuni spunti “creativi” nella violenza, affiancati da altri momenti davvero insulsi. La tematica delle statue di cera e il loro uso in chiave horror sono funzionali, tanto da fare della violenza esibita l'unico, debole, punto a favore del film, che lo farà forse apprezzare dai più esigenti in questo senso (la stessa metonimia che risolve il finale è di per sé particolarmente cruda).

Il resto è ordinario, tra rivelazioni improvvise ma telefonate da una decina di minuti, musica modaiola, ferite che guariscono al cambio di scena e un climax finale che crolla su se stesso, in un'esibizione di sfarzo scenografico tutto sommato stucchevole. Un film accettabile solo in momenti di carestia del genere.