La vicenda ha un inizio in piena azione con Jason, prigioniero di una base militare, che riesce a liberarsi e a uccidere parecchi soldati per poi finire intrappolato in una camera criogenica ove viene congelato, non prima di ferire mortalmente la dottoressa responsabile dell’esperimento.

Passano più di quattro secoli, la Terra è ridotta a un deserto ventoso e radioattivo e l’uomo ha colonizzato lo spazio. Un’astronave a equipaggio misto scientifico e militare, atterra nei pressi del laboratorio e trasporta a bordo la dottoressa e il mostro. Scongelano prima la donna, poi Voorhees. Naturalmente Giasone ricomincia a fare l’unica cosa che gli riesce bene, e cioè massacrare con metodo tutto l’equipaggio. Lo fermerà l’androide (o cyborg, o quel che volete) dell’astronave, assai più forte e determinato del povero hockey player, in uno dei combattimenti più deliranti della storia del cinema. Sembra tutto finito invece il computer di bordo, avvertendo le gravissime condizioni fisiche in cui versa il Nostro, decide di intervenire “riparandolo” tramite una sana immissione di nano-bio-tecnologia che, a tutti gli effetti, upgrada il nostro killer, trasformandolo da un misero ZX Spectrum ad un moderno Pentium 4 e, già che ci siamo, rinnovandogli anche il look.

Impossibile giudicare imparzialmente un film come questo, perché vorrebbe dire massacrarlo senza pietà. E allora si genera un doppio giudizio, da un lato l’appassionato di genere horror e della serie in particolare che è disposto a perdonare collassi di sceneggiatura (in 4 secoli nessuno cerca Jason e la dottoressa?), caratterizzazioni psicologiche al limite dell’idiozia ( i vari personaggi sono poco più che funzioni) e carenze di regia. Il fan passa sopra tutte queste cose e si siede in poltrona pronto a gustarsi un nuovo round di massacri, magari con il pallottoliere pronto per il bodycount, e a tutto questo si aggiunge il valore di una certa ironia dissacrante di fondo, di una violenza fumettesca che solleva l’episodio in questione rispetto alla plumbea pochezza di alcuni dei suoi precedenti.

Lo spettatore che invece pretende dalle pellicole di genere qualche cosa in più oltre alla risata momentanea e alla minicatarsi dello sterminio si trova purtroppo a fare i conti con una pellicola disastrosa. Il soggetto è scheletrico e risaputo fino alla nausea, la sceneggiatura inesistente, il comportamento dei personaggi incomprensibile (nessun essere umano in nessuna condizione si comporterebbe in quei modi) ma assai in linea con la recitazione degli attori che riescono a far tifare con convinzione per il killer: quanto prima li sterminerà tanto prima smetteremo di soffrire.

La musica, del solito Harry Manfredini, è innocua routine, evidentemente l’autore si deve essere sentito a disagio con l’atmosfera fantascientifica e ha ripiegato su temi già sentiti mille volte, così come la fotografia. Scenografie e costumi di recupero da fondo di magazzino degli anni ottanta.

La New Line (e prima di lei la Paramount) ha lentamente eroso quanto di valido poteva esserci in un archetipo simile e tutti gli argomenti interessanti (propri di qualsiasi slasher movie, ma in Friday 13th portati al parossismo) quali la fobia per il sesso da parte del Nostro, i legami ancestrali e magici con i membri della sua famiglia, la scelta (?!) di esprimersi esclusivamente attraverso l’atto dell’assassinio, tutti questi elementi non sono mai portati all’attenzione del pubblico.

Rimane, pur attraverso decenni di opera distruttiva, il fascino per un totem davvero singolare nella storia del cinema, una figura che ha fatto epoca e dettato legge insieme al Michael Myers di Halloween. La silhouette di questo gigante silenzioso, il suo incedere inarrestabile, la maschera con i fori, il lago Crystal... sono tutti fattori che, stratificandosi nella memoria collettiva, hanno ormai acquisito spessore e fascino, sicuramente anche grazie alla ripetitività che crea un clima di familiarità nello spettatore e quindi sicurezza. Vederli sprecati in questo modo è comunque sconsolante. Rimangono tre barlumi decenti, in mezzo al marasma generale. Uno è sicuramente l’idea del processo di guarigione/miglioramento del corpo di Voorhees che ne esce fuori come una sorta di Robocop/Terminator, il secondo punto di pregio è la sequenza nella quale, nel tentativo di distrarre il killer, lo si proietta dentro una realtà virtuale che riproduce Crystal Lake, con tanto di campeggiatrici/peccatrici che fanno infuriare Jason oltre ogni misura. L’ultima cosa godibile è il finale (non pensiamo di rovinare alcunché rivelandolo, ma se credete, siete avvertiti di saltare la prossime righe!) con il Nostro che precipita sulla Terra incendiandosi... Sul lago Crystal due campeggiatori guardano in cielo e vedono una stella cadente finire dentro il lago... L’idea di un viaggio a ritroso nel tempospazio con la leggenda che nutre se stessa dovrebbe essere esplorata più a fondo, piuttosto che sprecare soldi in futuri scontri fra mostri.

Fra le curiosità che siamo riusciti a recuperare:

Molti richiami e omaggi ad Alien, a cominciare dal nome di uno dei personaggi, Dallas.

L’astronave si chiama Grendel in onore del mostruoso assassino del famoso poema Beowulf.

Una delle armi porta lo stesso nome di una pistola utilizzatissima nei noti videogiochi per PC Doom e Quake. Lo scrittore Todd Farmer è un noto ed accanito videogiocatore. Per inciso l’arma si chiama BFG, acronimo per Big Fucking Gun.

Jason non chiude mai gli occhi, nemmeno in un’inquadratura.

Girato fra Canada e America.

Cameo di David Cronenberg a inizio pellicola.