Gerry Lane e la sua famiglia si trovano ad affrontare il risultato di un terribile virus che rende gli uomini simili a zombi che si scatena a Filadelfia e nel resto del mondo. Lane, ex impiegato delle nazioni unite, viene richiamato in servizio per indagare sull’origine del virus e arginare la minaccia che rischia di estinguere l’intera umanità.

Tratto dall’omonimo romanzo di Max Brooks (figlio del celebre Mel), Marc Forster porta sul grande schermo World War Z, colossal hollywoodiano, che invade le sale italiane nella calura estiva. Se il romanzo di Brooks era scritto sotto forma di una raccolta d’interviste “sul campo”, e creava un mosaico di più voci e sentimenti, la pellicola di Forster mette al centro l’eroe (interpretato da Brad Pitt) pronto a tutto per difendere la sua famiglia e il destino dell’intera umanità.

Buono l’inizio della pellicola dove Gerry é in macchina con la sua famiglia e si trova ben presto in mezzo al caos scatenato dagli infetti, catapultando lo spettatore direttamente nel vivo dell’azione, anche se dopo un poco la confusione e il frenetico movimento delle immagini rischiano di stancare e disorientare. 

Dopodiché il film si attesta su una “velocità di crociera” da manuale con Lane alla ricerca del paziente zero, il primo infetto da cui è stato generato il virus (situazione che ricorda le atmosfere della bella pellicola Contagion di Soderbergh) e di un possibile vaccino per il terribile morbo, non riuscendo a rigenerare una situazione, quella del contagio parazombesco, ormai così abusata e cadendo nel “già visto” in centinaia di pellicole similari.

Gli zombi ipercinetici di War War Z ricordano quelli di 28 giorni dopo di Danny Boyle (a differenza dello standard di Romero, che li vuole lenti e goffi, se pur letali) ma la pellicola di Forster, tuttavia, non possiede quel tocco personale e di vivacità di stile che caratterizzava l’opera del regista inglese, in grado di fare la differenza. Interessante e visivamente di molto impatto l’espediente in cui gli zombi formano una montagna umana per superare i muri, creati dall’uomo per fermarli.

Anche il pretesto di rappresentare, in una situazione così drammatica e apocalittica, una realtà violenta e crudele, tipica di molte pellicole zombesche, viene messo in secondo piano, e i possibili effetti gore e splatter sono stemperati, con le inquadrature che vanno fuori campo, per non mostrare allo spettatore le scene più efferate e raccapriccianti.

Una pellicola, in grado di intrattenere lo spettatore a cerca di effetti speciali e azione, una formula questa che fa sempre contenti i botteghini, ma un’opera che nulla aggiunge al cinema horror e di genere.