Dopo più di quarant’anni l’insegnante e scrittore Dale Stewart, torna alla sua città natale Elm Haven. Affitta una vecchia fattoria, un tempo appartenuta all’amico d’infanzia Duane McBride, morto in circostanze mai chiarite, per riordinare i pensieri e fare i conti con la sua vita. 

Dale sente di avere perso tutto, sua moglie, le figlie, la sua amante e il rispetto dei colleghi, tanto da aver tentato in precedenza il suicidio.

Il professore si stabilisce nella vecchia fattoria e comincia a scrivere il suo nuovo romanzo che racconta la sua giovinezza passata in quei luoghi. Ben presto, però, Dale si ritroverà al centro di una serie di eventi inquietanti che lo catapulteranno nel mio angoscioso degli inferni…

“Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose” affermava Umberto Eco, per bocca di uno dei suoi personaggi, ne Il Nome della rosa. Ci sono libri che parlano di altri libri, rimandano a certe atmosfere, ne riprendono e ampliano temi, diventano storie collegate, in un affascinante gioco di scatole cinesi.

Sono libri che non potrebbero essere stati scritti se non esistesse la fonte d’ispirazione principale.

L’inverno della paura di Dan Simmons è un libro che rientra in questa categoria: è un libro che parla di altri libri. In primo luogo è il sequel ideale di L’estate della paura, anche se può essere letto in maniera autnoma da chi non conosce il volume precedente. Ci sono poi altri libri, da cui L’inverno della paura trae la sua forza vitale e che sono citati più o meno esplicitamente nel testo da Simmons.  I più importanti sono sicuramente: il romanzo breve Il giro di vite e il racconto L’angolo allegro (nome usato per appellare la fattoria in cui il protagonista del lirbo si stabilisce) entrambi di Henry James,  e il poema epico Beowulf.

Simmons giustifica la storia che sta raccontando attraverso un narratore molto particolare: Duane McBride, morto a undici anni e amico del protagonista della vicenda, Dale Stewart, sottraendosi alla responsabilità dell’opera che viene narrando, creando un artificio narrativo, un gioco letterario, che ottiene subito l’interesse del lettore e che contribuisce a farlo entrare nell’atmosfera di tenebrosa attesa, a fornirgli anticipazioni e a creare suspense, con un gioco di stacchi temporali che rallentano la lettura e rinviano l’azione.

La vicenda è ambientata in un’America crepuscolare di fine millennio, gli episodi narrati sono a ridosso dell’inizio dell’anno Duemila. Elm Haven, piccolo paese dell’Illinois, diventa il teatro di un gotico rurale, che affascina e inquieta, con le sue strade provinciali ricoperte di neve, le distese di praterie autunnali colorate di sfumature indistinte tra il rosso e il marrone e la tipica vita di campagna. L’ambiente interno, la fattoria dove si svolge gran parte dell’azione, appare caratterizzato da luci e ombre suffuse, opposte agli spazi aperti dei campi, di cui l’autore riesce a trasmetterci il senso di tristezza pervasiva, di decadimento spirituale che adombra i luoghi e li mostra attraverso un velo di struggente rimpianto, quello di un’età, quella della giovinezza, che diventa mito e approdo mentale cui tornare.

Decadimento questo che non è solo degli ambienti ma che si riflette sul protagonista dell’opera, un uomo che vive nel senso di colpa e nel tormento di non essere stato un buon amico, un buon padre e un buon marito. E come nell’Angolo allegro James ci mostrava il protagonista a confronto con il suo fantasma alter ego, Simmons ne L’inverno della paura ci racconto una ghost story che mostra non solo una casa infestata dai fantasmi e un’intera città pervasa da orrori tangibili e creature orrende (morti decomposti, affascinanti e algide donne e  cani neri di beowulfiana memoria) ma anche un “uomo infestato” dai fantasmi del suo passato, dalla sua insoddisfazione, dal suo tormento psicologico a un passo dalla follia, sentimenti, questi, che restano impressi nelle pagine del romanzo.

Lo stile dell’autore, infine, ricco di descrizioni, con molta attenzione al realismo ma capace di passare a dialoghi brillanti ben si adatta a tratteggiare visioni oniriche molto potenti e suggestive che caratterizzano l’opera.

Una lettura densa, ricca di citazione e rimandi, d’inviti alla riflessione (come quella del ruolo dello scrittore nella letteratura, dell’importanza dell’amicizia e del passato) che si presta a molteplici piani di lettura, un progetto ambizioso che colpisce per l’attualità dei temi trattati e la capacità evocativa.