I misteri che uno scrittore riesce a evocare sono miti come erano quelli dei popoli antichi. Un enigma, alcune tracce, il residuo, sono il punto di partenza, e la voglia di capire, di interrogare il mondo, sbirciare tra le pieghe del mistero, sono l'energia che dà vita all'intreccio. Ed ecco uno dei luoghi più remoti della terra, ecco la sagoma di un monaco suicida che si staglia per un attimo contro il cielo. Un luogo arcaico e un atto simbolico che ritrovano la loro ragion d'essere solo nel bagliore incerto e sfuocato di una scommessa difficile: un thriller imbevuto di misticismo e fanatismo cristiano, ambientato ai giorni nostri; un romanzo di intrighi spionistici tra le mura di un monastero.

Questo l'esordio di Simon Toyne nel mondo della letteratura, un successo inaspettato che si spinge con coraggio ai confini di un genere già raccontato da grandi maestri. Ed è proprio ai confini che la storia di Sanctus compie le sue incursioni, tra l'ombra che avvolge e la luce che svela, con un'attitudine che si direbbe nata per devozione, sinceramente ispirata al nostro Umberto Eco de Il nome della rosa, 1980.

Un uomo inscena un suicidio spettacolare, con lo stupore dei presenti: un salto nel vuoto a volo d'angelo, giù da un dirupo, per schiantarsi contro il suolo. Un atto irrazionale, senza alcun motivo apparente. Succede a Ruin, in un piccolo paesino tra le montagne, vicino al confine con la Siria, nel sud della Turchia. Grazie alla presenza dei media sul luogo della tragedia, il mondo intero partecipa all'inquietante evento, pubblico non pagante raggelato da una così lucida follia. Ma in pochi sanno che di pazzia non si tratta: sotto a un tale gesto si cela un messaggio preciso. Tra i pochi a comprenderne il significato c'è Kathryn Mann, biologa, da sempre alle prese con i segreti della vita e le sue origini, per cui quel suicidio può essere la fine di una lunga attesa. Anche per i monaci del monastero di Ruin l'evento ha un significato tutt'altro che incomprensibile: un atto che ai loro occhi non può che esser nefasto, il segno della fine di un'epoca, la rovina di tutto quello che hanno costruito finora. Liv Adamsen, giornalista newyorchese, scoprirà invece il senso di tutto solo dopo un lungo viaggio alla ricerca della propria identità, sulle tracce del suo destino, grazie anche all'impagabile aiuto di Gabriel, il suo misterioso protettore.

Un succedersi incalzante di colpi di scena che tracciano i contorni di un territorio nascosto illuminato da una luce mediana, tra il chiarore e il buio, tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra illusione e raltà. Nell'incedere e nel soffermarsi dello scrivere, Toyne riesce a sortire un effetto ombra che fino all'ultimo avvolge il lettore con un senso d'attesa potente. Gli sviluppi della narrazione vengono svelati con improvvise sciabolate, così che ogni segreto sembra rivoltarsi nel suo opposto e la lividezza degli interrogativi irrisolti si frantuma per lasciar trasparire risvolti inaspettati.

Perfettamente assediati dalla tensione, nel tentativo di eliminare lo scarto tra il non più e il non ancora, le 463 pagine finiscono davvero in fretta. Il bianco e il nero delle descrizioni e dei dialoghi si materializzano in immagini che possiedono il fascino profondo dell'universo concettuale in cui si inscrive l'esperienza atavica dell'uomo che vuole far luce nell'ombra.

E nello stile dell'autore non sembra esserci nessun sintomo di sudditanza. Il confronto con giganti del calibro di Dan Brown (Il codice da Vinci, 2003, Angeli e demoni, 2000), seppur imprescindibile, rimane solo uno sprone, un modello da cui prendere le mosse, per intraprendere nuove strade e raccontare con parole proprie. Così Sanctus, intelligente invenzione, nato quasi come un azzardo - caso editoriale, tradotto in poco tempo in una ventina di lingue -, a dispetto di chi non ci credeva, riesce a guadagnarsi meritatamente un posto tra i migliori titoli del genere.