La prima che vide era poco più di un’ombra indistinta, semicancellata dalle onde. Poi ne scorse altre, sempre più nitide, più recenti. Intruso, suggerì la mente inconscia, convinta che il Golfo fosse ormai sua esclusiva proprietà.

Doveva essere un maschio adulto, calcolò, e non era lontano. Se solo avesse portato gli occhiali forse sarebbe riuscito a scorgerlo, un minuscolo punto nero all’orizzonte. Decise di aumentare il passo e provare a raggiungerlo, era ansioso di guardare in faccia lo scocciatore. Dieci anni in agenzia investigativa gli avevano insegnato fin troppo bene come ottenere la collaborazione degli sconosciuti e, con un po’ di fortuna, avrebbe anche potuto convincerlo ad andarsene senza creare problemi.

Sentiva l’acido lattico stringere i polpacci in una morsa di ferro, ansimava. A quarant’anni iniziava a essere troppo vecchio per quel genere di giochetti. Sapeva di dover mollare, ma non cedette. Il solco sul collo prese a pulsare di rinnovato dolore.

Erano state le voci che lo avevano condotto in soffitta, loro l’avevano convinto a cercare la corda e legarla a una trave del soppalco, prendere la sedia, salirci e farla finita. Ciò che non avevano calcolato era che il legno marcio avrebbe ceduto di schianto sotto il carico del suo peso, impedendogli di portare a compimento quel gesto insensato.

Si era risvegliato la mattina seguente in preda ai crampi, all’angoscia e alla vergogna. Senza rendersene conto aveva aperto la finestra e guardato il sole sorgere lento sul mare. Era uscito di casa in pigiama, aveva attraversato la strada e aveva cominciato a correre scalzo sul bagnasciuga. Da quel giorno era diventato un rituale quotidiano, un’ancora di salvezza nell’oceano della follia.

L’intruso però stava scombinando i suoi piani.

Seguiva le orme come un segugio addestrato, studiandone la distanza, la profondità e la forma. Sei. Quel numero rimbalzava negli anfratti della sua mente come una pallina impazzita. Capì e fu come se la biglia avesse colpito il bersaglio critico in una partita a flipper contro se stesso. C’era sempre stato qualcosa di molto sbagliato in quelle impronte, una nota stonata che Paolo non sapeva spiegare. Ora gli era chiaro. Sei dita. Quell’uomo aveva sei dita su ogni piede: era uno scherzo della natura.

La morbosità della situazione lo spinse oltre i suoi limiti fisici, sempre più impaziente di vedere l’intruso. Il mostro.

Una fitta alla milza lo fece trasalire. Era sul punto di mollare. Scrutò il litorale della laguna e per un attimo gli parve di vedere una sagoma scura che procedeva spedita a non più di duecento metri da lui. C’era quasi. Puntò la preda e iniziò a incalzarla, spronato dalla foga per la caccia.

Un brillio dorato attirò la sua attenzione. Lo sconosciuto aveva lasciato cadere qualcosa e l’oggetto misterioso scintillava nella sabbia, riflettendo i raggi del sole. Raggiunse il punto da cui proveniva il luccichio, deciso a lasciarselo alle spalle per proseguire l’inseguimento. Lanciò un’occhiata fugace al bagnasciuga e il cuore gli si fermò nel petto. Riprese a battere dopo qualche secondo, pulsando con tale violenza da parere sul punto di spezzargli le costole e squarciare le carni.

Si inginocchiò in lacrime, prendendo tra le dita la piccola croce d’oro che giaceva abbandonata sulla battigia. La pulì sulla felpa e riconobbe senza bisogno di guardarli i caratteri incisi sul retro. Erano un nome e una data. Anna, 20/01/2001. Lo stomaco si serrò in una morsa repentina. Vomitò, tenendo una mano premuta sul collo, mentre con l’altra arrancava in cerca di un appiglio. La gola bruciava come se fosse stata stretta da un cavo arroventato.

Si rialzò barcollando, la vista annebbiata dal pianto. Riuscì a scorgere una figura in lontananza: ferma, a braccia conserte, i piedi scalzi lambiti dalle onde. Lo fissava. Il mostro con sei dita, l’assassino della sua unica figlia era lì, davanti ai suoi occhi e lo osservava senza muovere un muscolo. Riusciva a fiutare il puzzo del suo compiacimento. Immaginava il sorriso perverso che gli attraversava il viso mentre godeva del suo dolore. Lo stesso sguardo spietato che Anna doveva avere incrociato prima che quell’animale la violasse e le squartasse il ventre con un coltello da cucina.