Si strinse la fascia del moncherino. Alcune gocce di sangue, strizzate, furono inghiottite dalla terra.

– Questa non voglio proprio perdermela. Ma anche se sei uno che accoppa la gente, sembri proprio un bravo ragazzo e mi piacerebbe che rimanessi qui con noi.

– Col cavolo!

Mi liberai dalla debole stretta di Jessica che non oppose resistenza e mi alzai.

– Io non ci resto qua dentro. Non voglio sembrare una lattina di birra mezza aperta, né desidero pulirmi il culo con le barbabietole, tanto meno voglio finire in un sacco a pelo di sassi.

– Ti resta perdere una gamba… – Il vecchio rise e si strinse di nuovo la fascia.

Guardai Jessica, la tanica piena di unghie sputate, la prigione del pazzo e quella casa tirata su con la terra del diavolo e con le carcasse di veicoli maledetti dal Signore.

– Vecchio. Questo posto fa schifo. Voi mi fate schifo. Qui, io non ci resto.

– Per me rimani sempre un bravo ragazzo.

Il disco nero sopra le nostre teste si ritirò di colpo. Il cielo divenne una cupola bianca e la luce arrivò netta, abbagliante, da tutti i punti. Non c’erano ombre.

L’orrore non aveva zone buie. Era ovunque, ed era vero.

Mi guardai intorno. Destra. Sinistra.

– Sta arrivando.

Ignorai il vecchio. Uscii dalla casa, non potevo rimanere intrappolato.

Respiravo velocemente. L’odore di terra e sangue mi dava alla testa.

La luce era insopportabile. Strinsi gli occhi e vidi qualcosa. Era già lì. Davanti a me.

L’Inseguitore mi aveva già trovato.

E quasi scoppiai a ridere.

Da ridere c’era che di fronte avevo una ragazzina che doveva aver preso la patente quello stesso pomeriggio, tanto era giovane. Mi arrivava allo sterno ed era così magra da sembrare lo spaventapasseri ufficiale del Barbainferno.

Era coperta di sangue dalla testa ai piedi, aveva un occhio che le penzolava fuori dall’orbita e la fronte era ripiegata verso l’interno. Nella mano stringeva la leva del cambio. Doveva essere la sua arma.

– Cazzo, sì! – Marco urlò entusiasta dietro di me.

La ragazzina sollevò la leva del cambio e mi colpì al petto con tutte le forze. Lo capii solo guardando l’impegno che ci aveva messo, perché quando ricevetti il colpo considerai che una pallina da ping pong lanciata da mio nipote di tre anni avrebbe potuto farmi molto più male.

– Fantastico! – Ancora Marco.

Era evidente che Marco non aspettava altro che io procedessi con la condanna a morte, evento che mi avrebbe allontanato da quell’inferno e dalla sua vista, e soprattutto dalle braccia di Jessica.

Eppure mi trovai a fissare la spaventapasseri orba senza sapere cosa fare.

Sì, sapevo cosa andava fatto, ma come riuscirci? Insomma, la ragazzina era già mezza morta, aveva la forza di una graffetta ed era lì perché l’avevo buttata fuori strada.

Non mi definisco esattamente un timorato di Dio, ma girare il collo a una diciottenne resta comunque un’azione che merita il pensiero di un rimorso.

Passò del tempo, non so quanto.

– Allora? – sbottò Marco. – La fai finita o no?

– Un attimo, Cristo!

Jessica decise per me.

Seppi che era lei quando associai il passo ritmato di una persona che salta su un piede solo. Mi girai mentre lei iniziava a urlare. Ebbi appena il tempo di guardare il suo viso stravolto dalla rabbia prima di finire a terra colpito alla mandibola da qualcosa di metallico e di molto duro.

Nero. Di nuovo bianco. Il cielo del Barbainferno. Jessica era sopra di me. Mi teneva a terra spingendo sul mio sterno l’unico ginocchio rimastole, spruzzando sangue ovunque dall’anca massacrata.

Nella mano stringeva la molla di un ammortizzatore.

– Tu devi rimanere qui, con me – disse. Aveva la bava alla bocca. L’occhio viola le pulsava, nell’altro lessi il folle desiderio di tenermi in quel campo coltivato dal diavolo a farle compagnia, e l’unico modo era che io ci restassi da morto.

In quel momento non era il caso di chiedersi se essere messo a morte da Jessica avrebbe avuto lo stesso risultato se lo avesse fatto la spaventapasseri inseguitrice, e credo che non se lo fosse domandato nemmeno lei. La situazione richiedeva ben altre priorità: togliersi di dosso la maledetta monca ed evitare che quell’ammortizzatore mi finisse in mezzo alla fronte.

Ci pensò Marco. Le assestò un calcio alle costole. Jessica volò via.

– Brutta puttana! – Marco era tornato il Transformer incavolato. Svettava sopra di me. Riuscivo a vedergli solo le gambe, perché il cofano nel petto mi nascondeva la sua faccia. Non persi niente.