– Siediti qui con me, forza – disse Jessica.

Mi lasciai cadere accanto a lei. Le chiappe mi si bagnarono. Intuii che doveva essere il suo sangue e decisi di non scoprire di avere ragione.

Una lama di luce bianca illuminò il volto di Jessica. L’orizzonte si era sollevato un altro po’.

Aveva gli occhi azzurri. Cioè, ne vedevo solo uno, ma questa volta la deduzione era scontata. Labbra ben disegnate. Non aveva indosso molto. Una canotta rossa sporca e un paio di short jeans inguinali da cui spuntava l’unica gamba. Lunghissima. Doveva essere stata una gran bella ragazza, prima del Barbainferno.

– Vuoi sapere? – mi chiese.

– Secondo te?

– Siamo tutti morti.

– Fin qui mi sa che c’ero arrivato. Ma cos’è questo posto? Dio santo!

– Il Barbainferno? È un inferno, o è come un inferno dovrebbe essere.

– Senza fiamme e zolfo, di tutto il resto ce n’è abbastanza – s’intromise Marco. Mi guardò strizzando gli occhi. Gli stavo antipatico o forse si era solo rotto di avere una cresta di metallo tra i capezzoli.

– Non sappiamo bene come funziona e perché – disse il vecchio. – Moriamo dissanguati piano piano. Un’agonia, ragazzo. Penserai che non sembriamo così sofferenti e vorrei tanto dirti che al dolore ci si abitua ma, fidati, fa un male cane, porco il diavolo che c’ha voluto qua dentro!

– Non se ne esce? Prima che entrassimo in questa, questa… baracca…

– Baracca sarà tua sorella – fece Marco.

– Ok, questa reggia, contento?

– Si vede che sei un Inseguito. Sei proprio un coglione.

– Inseguito? Che vuol dire? – Guardai il vecchio, ignorando Marco.

Jessica mi strinse una mano. Non c’era forza nelle sue dita.

– Che sei un coglione che manda la gente all’inferno, ecco che vuol dire – s’intromise ancora Marco. Quindi non era la cresta di metallo: gli stavo proprio sulle palle.

– Marco, chiudi quel cesso di bocca – concluse il vecchio. Si avvicinò a una tanica di plastica per benzina alla quale era stata tagliata la parte superiore. Si morse la cima di un’unghia e la sputò dentro. Mi accorsi che la tanica conteneva altri pezzi di unghie; molti. Il vecchio sorrise.

– Ricominciamo – disse. – Sputo un’unghia tutte le volte che rinasco. È il nostro modo di contare i giorni. Sì, lo so che non equivale a un giorno, ma un sistema dovevamo trovarlo, no? E non mi chiedere perché le unghie rimangono nella tanica e non spariscono, non lo so.

– Ma il sangue... – Guardai il terreno.

– Sì, il sangue viene assorbito. Non so perché. È così. Che cavolo, non l’ho creato mica io ‘sto posto.

Jessica mi toccò una gamba.

– Secondo me è il nostro sangue ad alimentare questo inferno – mi disse, guardandomi le labbra.

– Sì, sì. – Il vecchio si buttò a terra, poggiando la schiena contro la parete. – Ne abbiamo pensati migliaia di motivi, ma questo è quello che piace a Jessy e a noi sta bene. Tanto, uno vale l’altro. Dicevo… Le unghie lì dentro sono 22834 e io sono stato il secondo ad arrivare. Era giovedì, il 16 settembre del 1982 poco prima di mezzanotte.

– È stato così anche per me. Giovedì…

– Sei proprio un coglione.

– Marco – feci. – Vuoi che quella cresta te la metta nel posto giusto?

Marco si alzò con una rapidità straordinaria. Venne verso di noi.

– Basta, Marco! – gridò Jessica.

Cresta di metallo si fermò a pochi centimetri da me. Sembrava un Transformer in riparazione.

– Che non ho visto come ti strofini vicino a lui, puttana?

Il Pazzo emise un lungo lamento. Stava ridendo?

– Marco, siediti. Jessica è una puttana. Cosa ti aspetti, la redenzione nell’inferno? Scusa Jessy, ma quando ci vuole ci vuole.

– Non fa nulla. – Jessica chinò il capo e sparpagliò il dolore dentro di sé, in qualche modo.

– Ascolta, Cresta. Non ti tocco la ragazza. È tutta tua. Io voglio solo sapere se posso andare via di qui.

Marco non disse niente. Si voltò e tornò al suo posto. Tirò il labbro in un ghigno, i denti brillarono di luce bianca.

Il vecchio respirò. L’aria entrò nei suoi polmoni col suono di una sega da legno su una barra di ferro.

– Allora – continuò. – Arrivai che il Pazzo era già qui, ed era già pazzo. Nel senso che dava di matto. Una sorta di hippy metà anni 70 bruciato dall’LSD. Quando scese all’inferno anche Marco, nel ’90, riuscimmo a costruire la nostra casetta e la prigione di sassi per il Pazzo. La vita divenne d’un tratto più rilassata, vero Marco?

– Anche la morte può avere momenti di gioia – annuì Cresta.