Una bambina riesce a fuggire da un luogo angusto e abbandonato da Dio. Corre, con passo incerto, a piedi nudi, per strada, senza mai guardarsi indietro. Inizia così Martyrs, con il recupero, da parte delle autorità competenti, di Lucie, una ragazzina di circa dieci anni, malnutrita, intimorita e martoriata nell'animo, ma non sessualmente. Chiusa in un particolare istituto per bambini disagiati (scenografia che Pascal Laugier utilizzò anche nel suo film precedente, Saint Ange) conoscerà Anna, la sua controparte buona capace di ascoltare e di mantenere i segreti, subendo passivamente e per amore gli eventi scatenati dalla sua nuova amica.

Con Martyrs, Pascal Laugier mette in scena un film diverso, forse troppo additato di violenza che in realtà non è più rappresentata che in altri torture movies di cui invece non si parla quasi mai, o peggio ancora in quei film etichettati come "drammatici". Dedicato a Dario Argento perché "molti in italia non se lo filano più", mentre lui lo considera un grande maestro, Laugier parla della sofferenza umana rispetto a una nutrita società di benpensanti in cerca di risposte... Il regista ammette di essere arrivato al motore narrativo col tempo e non subito, ma soprattutto in un periodo di depressione personale in cui gli eventi brutali (o morali) che gli capitavano si nascondevano dietro la civilizzazione della nostra società, ed è questo che trasmette il suo film: la falsa facciata della nostra vita civilizzata.

La trama iniziale e la regia non perdono colpi, sono ben dosati, veloci e d'autore in cui si manifesta la personalità gentile-depressa del regista. Il tocco delle riprese somiglia a quello di una persona arrabbiata che vorrebbe urlare di dispiacere ma che immagina la violenza sugli altri senza però mai affondare l'ascia dalla parte della lama. Certo, non mancano le brutalità, ma lo spirito di Laugier non si sofferma sul particolare. Non ci sono budella rapprese di sangue vomitate in terra, ma colpi di rabbia intellettuale, di quella provata dentro che fa deviare l'occhio della telecamera poco più in alto o di lato dal punto d'impatto. Una rabbia trattenuta che angoscia.

Pascal crea la tensione e sveglia subito il pubblico quando a pochi minuti dall'inizio una "rompipalle" armata di fucile bussa alla porta di una agiata famiglia intenta a fare colazione. Il primo colpo uccide il padrone di casa, il secondo la signora, il terzo il figlio, il quarto una adolescente... Violenza gratuita? No, per niente. Perché il senso di colpa che movimenta buona parte del film, ben presto si manifesterà con il volto di un mostro persecutore. Ma chi è che perseguita Lucie, la rompipalle armata di fucile? Quale demonio continua a nascondersi nella sua testa è presto chiarificato. Il senso di colpa diviene una sorta di staffetta nella corsa che porta al finale. Quando Lucie passa il testimone ad Anna l'amica ammette mentalmente, lasciandocelo intravedere, il malessere della sua compagna e il suo movente. Infatti nessuno riesce a credere che Lucie abbia combinato quel massacro solo perché supponeva di aver riconosciuto i suoi aguzzini in una foto sul giornale. Ma poi arrivano una serie di colpi di scena che spingono sull'accelleratore incuriosendo subito l'attenzione. Tutto viene svelato, ma ormai è tardi per trovare una via di fuga accettabile. I giochi sono fatti. Non resta che lasciarsi andare e sperare che tutto finisca presto.

Nell'ultima fase c'è un calo del movimento narrativo, e se è vero che la sceneggiatura sembra ormai spenta, quando di spiragli non se ne vedono poi altri, assistiamo al martirio, anche se silenziosamente speriamo che qualcosa cambi. Siamo rassegnati insieme alla protagonista del film, ed è proprio questo ciò che il regista cercava: noi abbiamo vissuto insieme ad Anna, e il suo punto di vista per tutto il film, e insieme a lei siamo condannati ad aspettare la fine. Una fine mistica, che apre a nuovi scenari immaginativi, a nuove speranze, o forse no.

Il film non è esente da errori, certo, come la maggior parte dei film. Si vede che la sceneggiatura è stata scritta in una manciata di mesi (4 mesi sono relativamente pochi) e si vede che al martirio ci si sia arrivato nel tempo, almeno lo si percepisce nel movimento narrativo, ma la trovata finale in qualche modo si incastra nel senso psicologico del racconto cinematografico, e funziona.

Martyrs non è un film di facile lettura. E' uno di quei bocconi che va masticato bene, assaporato e poi digerito con calma per beneficiare della pienezza del film. Potrà non piacere a tutti, molti lo maltratteranno (come hanno fatto gli stessi membri della troupe additando il regista di misoginia), ma di certo non può essere etichettato come banale o immotivatamente feroce. I motivi e i moventi ci sono. E per noi si piazza a ridosso delle quattro stelline di valutazione.