1958, Anna è una giovane ragazza incinta incaricata di fare le pulizie a Saint Ange, un orfanotrofio semi-abbandonato. Oltre a lei vivono nella grande costruzione la non più giovane Helenka, che si occupa da ventitre anni delle cucine e delle pulizie, e Judith, una ragazza nata e cresciuta nell’orfanotrofio e imprigionata negli incubi di una mente disturbata.

Anna ben presto si accorge di non essere sola: risatite, sussurri, oggetti che improvvisamente appaiono da dietro i muri e la sua sospetta curiosità la porteranno a scoprire ciò che l'inflessibile Madame Francard, rettrice del complesso, cerca di tenere nascosto.

Il filone 'case infestate' ha ancora molto da dire, purtroppo il francese Saint Ange non fa altro che allungare la lista di edifici paurosi, ma nulla aggiunge nulla a quanto già raccontato da film di diverso spessore.

Saint Ange
Saint Ange

Della vicenda si possono riportare giusto la sequenza da cui tutto prende il via, poi ci si perde nel labirinto di corridoi e stanze del gigantesco e desolato orfanatrofio, abitato ancora dalla presenza dei 'bambini cattivi'.

La prima scena, in cui due bambini si tengono per mano e visibilmente impauriti si recano in bagno per farci assistere alla prima 'disgrazia', è allo stesso tempo la migliore del film e la più ingannevole.

Per tutta la prima parte il film si trascina stancamente verso un epilogo che fa salire la tensione, ma confonde totalmente lo spettatore già alle prese con mille interrogativi non risolti.

Anna (Virginie Ledoyen)
Anna (Virginie Ledoyen)

Il lirismo delle immagini, dove però ritroviamo ben poco orrore, non salva dal naufragio la pellicola.

L'ottima fotografia, una delle poche cose da salvare, privilegia i colori luminosi, in particolare il bianco, ma la scelta non paga. Questo nitore, più pulito di quello pubblicizzato in tv, lava via qualsiasi cosa: ombre e sangue; ma da sempre le ombre sono elemento e protagonista delle vicende ad alta tensione e contribuiscono in modo fondamentale al raggiungimento dello scopo.

Le ombre sono seducenti, immateriali, prive di consistenza, ed è per questo che essere l'ombra di se stessi significa non conservare più che una parvenza di quello che si era. L'Ade era abitato dalle ombre dei defunti, da esangui duplicati di quelli che un tempo furono esseri nel pieno delle loro forze. Le ombre sono parassiti degli oggetti che le proiettano e di cui, a volte, riproducono la forma. Sembrano da sempre consegnate al mondo delle apparenze; i criminali tramano nell'ombra; certe persone vengono fatte uscire dall'ombra o vi vengono relegate. L'oscurità può proteggere e dominare e ci sarebbe piaciuto vederne di più.

Judith (Lou Doillon)
Judith (Lou Doillon)

I problemi della pellicola non si limitano alla sceneggiatura: gli attori, fatta forse eccezione per l'espressiva Lou Doillon (la semipazza Judith) non sono all'altezza del compito; Virginie Ledoyen (resa famosa per la sua interpretazione a fianco di Leonardo Di Caprio nel trascurabile The Beach) vaga con lo sguardo perso nell'edificio alla ricerca di ciò che regista e sceneggiatore Pascal Laugier sembra avere perso: il senso dell'intera vicenda.