Tom Hanniger, minatore della città di Harmony, causa un incidente in un tunnel che uccide cinque persone e manda in coma permanente Harry Warden. Un anno dopo, durante il giorno di San Valentino, Harry Warden si sveglia inspiegabilmente dal coma e uccide con un piccone ventidue persone, prima di venire ucciso dalla polizia. Dieci anni dopo il massacro, Tom ritorna ad Harmony nel giorno di San Valentino. La sua fidanzata di un tempo, Sarah, è sposata con il migliore amico di Tom, Alex, ora sceriffo della città. In una notte, dopo anni di pace, qualcosa riemerge dall’oscuro passato della cittadina, e prende la forma di un omicida armato di piccone e coperto da una maschera protettiva da minatore. In breve tempo, Tom, Sarah e Alex intuiscono che l’uomo potrebbe essere Harry Warden tornato per vendicarsi.

Il giorno di San Valentino, film slasher diretto nel 1981 dal canadese George Mihalka, voleva essere un chiaro tributo a questo genere così di moda in quegli anni. Nel film “slasher”, il “maniaco omicida” incarna in modo condensato le curiosità sessuali dell’adolescenza: il “piccone-fallo” è in questo caso un oggetto che rappresenta le paure che sottendeno il nuovo tumultuoso corso del desiderio. Naturalmente ci sono diversi modi di trattare questi temi dal punto di vista registico. E’ indubbiamente condiviso il parere che per esempio un John Carpenter (vedi Halloween - La notte delle streghe - 1978) utilizzi il genere per veicolare un messaggio culturale più ampio, cioè una riflessione sulla sua società. Anche Mihalka cercava, sebbene con esiti perfettibili quanto si vuole, di porsi su questo solco artistico-estetico. Il remake in 3D di Lussier sembra invece guardare più all’impatto visivo della tecncologia 3D, che a rielaborare gli stimoli forniti dal film originale. Dal punto di vista dello spettatore, bersagliato in continuazione da oggetti che “fuoriescono” dallo schermo anche in modo eccessivo e inutile, questo San Valentino di sangue 3D è come un fiume sotterraneo che a volte esce in superficie a mostrare la sua bellezza: vi sono sequenze che zampillano e brillano per creatività e inventiva; ma poi il fiume creativo si inabissa nel terreno perdendosi in dialoghi legnosi e senza molto spessore psicologico. Questo andamento discontinuo dello script scorre lungo tutto il film, e non serve a molto la tridimensionalizzazione degli effetti visivi ad alzare il tono della storia. La sequenza della prostituta (Betsy Rue) che si muove completamente nuda nel motel inseguita da un implacabile Harry, è esemplare a questo proposito, poiché è molto originale e davvero straniante, così come la connessa scena dell’uccisione del camionista-cliente, “picconato” al centro esatto del cranio. Questa lunga, complessa e inusuale sequenza rimane però come fine a se stessa rispetto all’architettura generale del film, che prosegue alternando omicidi e dialoghi insipidi. Il lavoro di Brian Pearson alle luci e alla fotografia non conferisce alla sintassi filmica nessun contributo esteticamente significativo. Le musiche di Michael Wandmacher non fanno che commentare, in forma di eco amplificata, le scene in cui esplode la furia omicida del minatore pazzo, ma nulla di più. Sulla stessa linea il montaggio di Cynthia Ludwig, in collaborazione con lo stesso Patrick Lussier, si pone l’unico obiettivo di tener cucite insieme sequenze tra loro comunque assai poco amalgamate da una coerenza prospettica e d’ insieme. I momenti di suspense sono inoltre tirati per le lunghe senza che sortiscano effetti da brivido davvero significativi. A dimostrazione di quanto detto fin qui, credo sia da menzionare la scena-citazione della lavatrice che “centrifuga” il cadavere di una donna, che nell’originale di Mihalka aveva uno spessore ben diverso. Nel film di Lussier questa scena non ci coglie invece per niente impreparati, perchè Lussier la risolve in modo sbrigativo e completamente pleonastico. In sintesi ci troviamo di fronte a un’ennesimo re-make statunitense che ci dimostra ancora una volta la scarsa vena creativa d’oltreoceano, sebbene alcuni spunti, isolati, e guardati come oggetti singoli, rendano il film godibile, ma in modo fastidiosamente discontinuo.