“Sara Mattei ha un peso netto di quarantatre anni ma un peso lordo di settanta, quanto sarà la tara?”. La carriera giornalistica l’ha delusa, il compagno non la soddisfa, non ha figli e i genitori sono morti lasciandole in eredità “La Silenziosa”, una villa tanto bella quanto sinistra ai piedi del Vesuvio. E sarà proprio la decisione di ristrutturare “La Silenziosa” a metterla di fronte a un passato oscuro e minaccioso, a segreti da riportare allo scoperto, per sciogliere la maledizione che la lega a strane visioni di morte. “Ventisette anni di tara erano davvero troppi. La gente si affanna per perdere chili, lei doveva perdere tara se non voleva rimanerci sotto. Schiacciata”.

La maledizione torna a colpire non appena Sara rimette piede nel Borgo della sua infanzia ed è per questo che, se in un primo tempo i compaesani la riaccolgono con calore, l’incubo diventa all’improvviso troppo reale, perché gli occhi e le dicerie le non si rivolgano contro.

Il mistero della maledizione risale all’antico Egitto e a un medaglione raffigurante l’Ouroboros che, passando di volta in volta in mano a svariati personaggi, li snatura e li porta ad agire secondo un’imprevista e brutale bestialità. Col procedere della narrazione scopriamo che i vari decessi sono collegati ad altre morti avvenute anni addietro nella famiglia della protagonista. Solo tre anziani del paese (il prete, il medico e un ciabattino) e un compagno d’infanzia conoscono - forse - il modo per annientare la maledizione, solo che... ma il resto va lasciato al lettore.

Con una scrittura semplice e mai enfatica, Simonetta Santamaria ci riporta nei luoghi a lei cari già a partire dal racconto vincitore dell’XI edizione del Premio Lovecraft 2004 (Quel giorno sul Vesuvio, per chi non se lo ricordasse) per raccontarci una storia macabra e angosciante, di segreti e di morte, che non ci lascia mai un attimo di respiro. I capitoli brevi, snelli e chiusi sempre al punto giusto non permettono al lettore di riporre il libro e la narrazione scorre veloce e ineluttabile come lava. La suspense è mantenuta ad alti livelli anche grazie alla scelta di dedicare ogni capitolo al punto di vista di uno dei tanti personaggi che compongono il ‘cast’ della vicenda. L’ottima caratterizzazione di questi ultimi, inoltre, fa sì che ogni figura del paese, semplici macchiette in potenza, all’atto s’imprima invece nella nostra memoria e ci lasci un ricordo indelebile delle voci e dei volti (dall’ ‘ominide’ Peppe, al bullo Pietro, dalla fragile Lilia, all’animalesco Rosario, etc.). Le incursioni nel dialetto si rivelano sempre di facile lettura, senza mai ostacolare la comprensione anche di chi ne è digiuno, colorando in modo efficace i dialoghi e le situazioni.

Questo stile estremamente semplice non risulta mai noioso, anzi, riesce a compensare ed equilibrare l’intensità delle descrizioni dei paesaggi e delle atmosfere, sempre suggestive ed evocative.

E sono proprio le ambientazioni, uno dei punti di forza dell’autrice, che ha trovato a Napoli e dintorni il suo Maine, dimostrandoci che non c’è bisogno di essere esterofili per proporre un prodotto valido in ambito Horror, e che le fascinazioni italiche sono anche più misteriose, antiche e godibili di qualsiasi altro microcosmo.

Alcuni nei stanno probabilmente nell’epilogo (un’aggiunta prevedibile, quando tutto poteva ottimamente fermarsi due pagine prima) e nei flashback e nei ricordi della protagonista, troppo “raccontati”, mentre qualche dialogo in più avrebbe forse velocizzato l’azione; i sogni e le visioni, invece, risultano intriganti, di matrice hitchcockiana, laddove preannunciano al lettore un qualcosa che gli altri non sanno, mantenendo alta la suspense.

Sicuramente un buon romanzo quello di Simonetta Santamaria, carico di spunti interessanti e di rivisitazioni originali di trovate che lo sono un po’ meno.

Si tratta in definitiva del caro vecchio cliché della casa maledetta. Un’idea già letta e rivista in tutte le salse. Il pregio della Santamaria sta nell’aver ‘immaginato’ una nuova ricetta.

E chi potrebbe mettere in discussione le salse napoletane?