A differenza del film originale di George Romero (1979), che ci proiettava sin dal primo istante nel bel mezzo del disastro, questa Alba dei morti viventi si apre con qualche residuo fotogramma di vita quotidiana: un'infermiera che smonta da lavoro, torna a casa, riabbraccia il marito, fa sesso con lui e va a dormire. Sembra l'inizio del più classico film catastrofico, dove i primi minuti di pellicola hanno lo scopo di farci affezionare ai personaggi e mostrarci la normalità che andrà tenacemente difesa e poi riconquistata. Sembra, perché sulla normalità la macchina da presa non indugia, le concede anzi lo spazio di uno spot pubblicitario; in fondo possiamo già immaginarla e non serve ri-filmarla per la milionesima volta. Meglio procedere subito oltre, quasi a scongiurare il pericolo di fraintendimenti tra regista e spettatore: se vi aspettavate un film formato umano, avete evidentemente sbagliato sala. Certo... uomini ce ne sono, uomini e donne, di età varia, di etnia varia, di estrazione economica varia, ma questo è un film di zombi e gli uomini sono... cibo.

Tant'è che c'è già qualcosa dietro la porta, qualcosa che sta per entrare, che vuole sorprendere l'infermiera e suo marito ancora a letto; non sappiamo nulla di loro due, dei sogni che coltivano, dei loro piccoli difetti, non sappiamo quanto si amino o se si siano mai traditi, o della minimale poesia racchiusa nelle loro abitudini, e già la porta della loro alcova viene aperta. E' l'alba degli zombi, quando - come recita la celeberrima frase - i morti non avranno più posto all'inferno e cammineranno sulla terra. E' l'alba degli zombi e gli zombi vogliono fare colazione.

Prima immersione nel sangue, e saranno passati sì e no dieci minuti di film. Urla, giugulari recise coi denti, occhi che si girano nelle orbite. Davvero un brutto risveglio per l'infermiera, che comincia a scappare, prende la macchina e attraversa la città devastata dai morti viventi. La visione aerea dell'auto in fuga è insieme apocalittica e splendida; la normalità si sta schiantando sotto i nostri occhi e la promessa è una sola, rassicurante come unicamente nei film di zombi sa essere: non c'è nessuna normalità che verrà riconquistata. Si prova quasi un brivido millenaristico, perché il giorno del giudizio è arrivato e gli spot televisivi e le telenovelas sono finiti.

Se amate l'horror non avete affatto sbagliato sala.

Reggetevi alla poltrona e sorridete.

Se non siete troppo prevenuti nei confronti dei remake e, anzi, siete golosi di qualsiasi film proponga o riproponga morti viventi più o meno somiglianti a quelli dei memorabili film di George A. Romero, questo Dawn of the dead non dovrebbe deludervi. Certo, non siamo vicini alle altitudini vertiginose toccate recentemente dal perturbante 28 giorni dopo di Danny Boyle, ma nemmeno di fronte a un prodotto pasticciato come Resident Evil.

Zack Snyder ha confezionato un film dignitoso, con qualche caduta di tono puntualmente equilibrata da sequenze riuscitissime, di cui almeno tre memorabili (la città distrutta all'alba, l'ultimo cartello del cecchino e la fuga dal centro commerciale coi furgoni). Dell'originale rimane poco, se non lo spirito anarcoide e catastrofista di Romero; dove il Dawn of the dead del 1979 era dilatato, nei tempi e negli spazi, questo è giocato innanzittutto sulla claustrofobia; se quello era tutto un contrapporsi di immobilità (l'incedere degli zombi, le barricate, la poca agilità di donne incinte e feriti), nel film di Snyder niente sta mai fermo un momento, dai non-morti tarantolati che corrono come i rabbiosi di 28 days later fino alla macchina da presa. Aumenta il numero dei personaggi e cala, di conseguenza, l'approfondimento psicologico. L'infermiera (una Sarah Polley che è assai piacevole guardare) rimane per tutto il film al centro della storia ma senza condizionarla più di tanto, come una specie di osservatore neutrale. Gli altri personaggi, ben stilizzati e parchi in quanto a fronzoli - creature umane della normalità, cioé fuoriusciti da uno spot televisivo o da una telenovelas - diventano un puro accessorio per la conta dei morti finale. I veri protagonisti sono gli zombi: la folla impazzita e cannibale che preme contro il centro commerciale ultimo fortino dei vivi, pronta a divorare chiunque decida di mettere il naso di fuori. E gli zombi, i mostri più idioti e riusciti della storia del cinema, fanno una gran bella figura soprattutto perché compiono il loro dovere, cioé divorare i vivi e farsi sparare alla testa, senza strafare, senza cercare giustificazioni, senza voler simboleggiare qualcosa a tutti i costi (e finendo così, a conti fatti, per simboleggiare proprio quell'umanità ipertrofica e prodigiosamente inutile di cui parlava Jean Baudrillard).

Se si vogliono individuare i punti di forza del film, zombi a parte, c'è - come detto - la buona prova registica di Snyder, capace di dare ritmo alla storia con un montaggio serrato, lo script efficace di James Gunn, già autore di Tromeo & Juliet, la recitazione tutto sommato dignitosa e gli ottimi effetti speciali (un buon mix tra lattice e computer grafica). In più troviamo le giuste dosi di splatter&gore, un po' di ironia e il cameo dell'immancabile Tom Savini.

E il punto debole? Manca il guizzo del genio, il tocco dell'artista che crede fino in fondo a ciò che sta filmando, manca - per farla breve - George Romero dietro la macchina da presa, o uno con la sua febbrile follia. Però è grazie a film spassosi come questo che il mercato, faticosamente, sta ricominciando ad aprirsi al nostro genere preferito.

E non è poco.