Ci sono voluti sei anni di attesa per ascoltare il secondo lavoro dei Wintersun di Jari Mäenpää. Per il momento dobbiamo limitarci a parlare della prima parte, Time I. L'uscita della seconda parte (presumibilmente chiamata Time II) uscirà infatti per la fine del 2013 e, come dichiarato dal gruppo, il suo missaggio è previsto non appena terminato il tour che li vedrà impegnati questo inverno sia in Europa che negli States (hanno effettuato una data anche in Italia, a Bologna, lo scorso 24 Ottobre).

Cinque brani che rivelano un lavoro ambizioso come pochi nella scena metal sia dal punto di vista della produzione, molto curata, sia per la complessità compositiva che, far rientrare nel genere melodic death metal, è davvero riduttivo. Time I vuole prepotentemente andare oltre gli schemi senza però risultare prolisso e stucchevole; riesce anzi a risultare originale e credibile e sicuramente questi pregi sono imputabili alle idee chiare della mente del gruppo, Jari Mäenpää.

A elementi abbastanza inediti per la scena metal, come melodie e strumenti orientaleggianti, si affiancano i cliché tipici del genere: ci sono le voci black e death ma anche un cantato pulito sorprendentemente caldo e ispirato (ascoltare il ritornello della conclusiva Time per credere). C'è una batteria che in alcuni momenti ha una produzione molto vicina ai canoni black ma che apre spesso a suoni e passaggi complessi in stile prog metal (ottimo davvero il lavoro svolto dal drummer Kai Hahto), e ci sono maestose orchestrazioni realizzate tutte con il computer, vero, ma che Mäenpää ha voluto far suonare più reali possibili (e sembra che sia stata la complessa produzione di queste ultime a far slittare più volte l'uscita del disco, previsto originariamente per il 2009).

Già dalle prime note il disco sorprende per originalità. L'intro When Time Fades Away si apre infatti con il lento suono di un'arpa sul quale si intrecciano subito violoncelli e archi che dipanano una melodia dal sapore orientaleggiante (Maenpää ha più volte dichiarato che per comporre ha attinto anche da atmosfere giapponesi). Ben presto il ritmo diventa più incalzante con l'introduzione di tamburi e cori epico-sinfonici che ci fanno calare in atmosfere da film hollywoodiano fantasy, ben scritto e con un'ottima fotografia.

Sons of winter and stars si apre con la stessa arpa dell'intro, ma stavolta è una voce lirica femminile ad accompagnarla per breve tempo, poi il brano (lungo undici minuti) continua in un alternarsi di improvvise cavalcate epiche di base black, spunti acustici, orchestrazioni atmosferiche e sinfoniche, e il momento catartico verso la fine, con i cori maestosi ai quali partecipano anche alcuni elementi degli Ensiferum, la band nella quale Mäenpää aveva suonato fino al 2004, prima di formare i Wintersun. Cori che ci immaginano trionfanti dopo una battaglia epica. L'andamento è apparentemente frammentato con momenti assimilabili ora al prog, ora al death/black, ora al sinfonico: il tutto funziona molto bene. Questo è il brano che meglio rappresenta la complessità, l'ambizione e le difficoltà con le quali il disco è stato prodotto.

Land of snow and sorrow è il pezzo più epico, drammatico e ricco di atmosfera. Ha un incedere lento e faticoso e si ha davvero l'impressione di camminare in mezzo alla neve durante una tormenta (e la neve, letteralmente si respira per tutta la durata dell'album). In questo pezzo spunta per un attimo anche il Kantele, lo strumento tradizionale finlandese che accompagnava i cantastorie nel narrare il Kalevala.

Il secondo pezzo strumentale, Darkness and frost, ha una melodia che si ripete per tutta la durata del brano ed è tanto semplice quanto singolare e insolita. Anche qui produzione curata fin nel minimo dettaglio (nei primi venti secondi sembra quasi ci sia un dj a una console: i suoni della chitarra elettica emergono, esitano, poi sfumano e infine riemergono. Poi tutto si ferma per una frazione di secondo e inizia il climax che porta al pezzo conclusivo. Uno dei migliori momenti del disco.

La melodia di Darkness and frost continua nei primi due minuti di Time, dove raggiunge il massimo di gioiosità e intensità. Di nuovo voci black/death sulle strofe, che si alternano al cantato pulito sull'arioso e struggente ritornello. In Time c'è anche l'unico assolo di chitarra del disco, tanto breve quanto intenso: dura meno di un minuto ma riesce a ricordare i lavori di John Petrucci e di Henk Van Den Laars dei primi Elegy.

L'outro del pezzo, lungo quasi tre minuti, è molto rarefatto e sembra uscito più dalla mente di Kitaro che da un gruppo metal europeo. Che sia il bridge che prelude al primo brano di Time II?

Time I è la dimostrazione di come si possa fare musica avendo le idee chiare fin dal concepimento del lavoro, e proprio per questo si aspetta a farlo uscire fino a quando ogni singolo suono, strumento, arrangiamento non risultino esattamente come si sono sentiti in testa fin dal primo momento. Lo stesso Mäenpää ha dichiarato in un'intervista: ”Mi sento come se vivessimo nell'età della pietra, mi piacerebbe davvero vivere tipo tra cinquant'anni, nel futuro, in modo da dover solo inserire una spina nel cervello e tirare così fuori la musica”. Chapeu.

Ascolto vivamente consigliato anche a chi non ama il genere.