Diretto da Yannick Dahan e Benjamin Rocher, The Horde non può definirsi solo uno zombie movie.

Gli espedienti e gli archetipi derivati dalle saghe romeriane sono tutti presenti, ma a questi si mescolano elementi polizieschi con risvolti splatter à la Carpenter.

Non a caso, il film inizia con una missione intrapresa da quattro poliziotti corrotti: irrompere, durante il cuore della notte, in una palazzina nella squallida banlieue parigina, per scovare e uccidere dei trafficanti di droga nigeriani, colpevoli della morte di un loro collega.

Purtroppo, il piano non funziona come è stato congegnato, perché, una volta entrati nel palazzo e trovati i nemici, un agente rimane ferito, mentre gli altri tre finiscono in ostaggio dei delinquenti in seguito a uno scontro armato.

Ma il caso vuole che la notte della loro vendetta viene a coincidere con il giorno del giudizio. Nel bel mezzo del conflitto tra le due parti, infatti, l'intero gruppo viene aggredito da mostruose creature assettate di sangue umano, misteriosamente introdottesi nel caseggiato. Inizia una corsa verso la salvezza che vede poliziotti e malviventi allearsi per la sopravvivenza.

Giunti sul tetto, scoprono che Parigi, completamente nel caos, è invasa da un'orda di zombie che sta sfilando su strade insanguinate, lungo una fiumana di cadaveri, e si sta dirigendo proprio verso il loro edificio. Ai sopravvissuti non resta che scappare di nuovo, stavolta cercando di uscire dal palazzo.

Per una quindicina di piani dovranno affrontare agguati zombie, trappole mortali, testa a testa sanguinosi. A questi si aggiungeranno tensioni interne che spingeranno, in parte, i protagonisti a eliminarsi a vicenda, e per cui il cerchio dei combattenti si restringerà sempre di più.

Per mezzo di corse, scontri, ostacoli nascosti in una location claustrofobica, buia, asettica e sporca di sangue, i registi costruiscono uno scenario da videogioco, in cui fanno agire personaggi stereotipati, dai dialoghi e i movimenti essenziali e robotizzati.

Complice di questo effetto è una fotografia scura che privilegia il nero e il rosso, fortemente contrastati da una luce giallastra da neon che intensifica il torpore del campo di battaglia tra vivi e non morti.

Ma oltre al gioco duro, da eroi della situazione, c'è un aspetto terribilmente umano che risalta: la crudeltà, la quale maschera, e a volte confonde, la distinzione tra buoni e cattivi innestata all'inizio della partita.

Nel cast due sono i volti che segnano la pellicola: quello di Jean-Pierre Martins, il poliziotto dotato di spirito di sacrificio per la salvezza del gruppo; e quello di Eriq Ebouaney, gangster nigeriano con un atteggiamento protettivo nei confronti del fratello minore.

Due nemici nella vita reale, ma due 'giusti'.

In antitesi, si colloca Aurore, interpretata da Claude Perron, donna dai tratti mascolini e in possesso della dose vincente di cattiveria nella guerra senza né amici, né nemici; insomma una sorta di Lara Croft.

Sadismo, machismo, violenza pura ed estrema diventano tratti quasi impeccabili dell'uomo stesso in fuga, piuttosto che del mostro predatore.

La novità introdotta da Dahan e Rocher, che fa sì che questo film si discosti un tantino dagli zombie movie di recente usita, è la dimostrazione di quanto l'orrore umano possa superare quello del mostro, se stretti dalla morsa della morte.

La brutalità umana è accompagnata da una satira grezza, ravvisabile nelle battute degli attori, ma che, nella sua profondità, lascia intravedere uno sguardo cinico verso questa società, dove può accadere che rivendicazioni e desiderio di sopravvivenza possano contrapporre persone schierate sullo stesso fronte.

Come in un puzzle i registri, infatti, riescono a unire la distruzione del mondo a tematiche sociali, sfruttando componenti sceniche diverse: da un lato la Parigi in fiamme, dall'altro un palazzo decadente e sfollato dove si rifugiano i gangster nigeriani.

Ma il tutto non deve essere preso troppo sul serio, dal momento che è finalizzato all'intrattenimento. E per raggiungere lo scopo, oltre al tono cinico sopracitato, l'artificio utilizzato è l'esasperazione: la lotta di tutti contro tutti, un'adrenalina smisurata nei momenti di azione, le ondate di mostri sfigurati e le secchiate di sangue versato anche là dove propriamente il cadavere non c'è.

Insomma, quello che ci vogliono offrire Dahan e Rocher, sono semplicemente novanta minuti di spettacolo horror.

E, se vogliamo apprezzare il film, è proprio lo spirito e il coraggio di questi due registi francesi che dobbiamo tenere di conto, due giovani registi che provano a lanciare quello che potrebbe apparire un insolito b-movie, avvalendosi di un vivace retroscena artistico che raggruppa registi, usciti dal progetto Viande d'origine française e pionieri del nuovo cinema horror francese, anche grazie a film come Martyrs e A' l'intérieur.

In poche parole: si sta solo cercando di fare horror in modo divertente, svecchiandolo un po' e senza troppe pretese; ma se si guarda lontano, questa formula potrebbe in futuro dare frutti più gustosi.