Arriva nel 2009 il quarto full-lenght dei Mastodon, l'immensa creatura messa in piedi da Troy Sanders e soci. Se Remission ha rappresentato il loro compatto biglietto da visita, se Leviathan ha fatto capire che il loro concetto di musica vuole andare oltre, se con Blood Mountain la loro identità già sfumata è stata mandata del tutto in frantumi, Crack the Skye rappresenta una nuova sferzata sulla loro imprevedibile rotta artistica, destinata a consacrarli definitivamente nell'olimpo del metallo.

Ecco dunque che a introdurci a questa quarta uscita del combo americano è il metafisico riff di Oblivion, che ben presto evolve in linee ben più compatte, sulle quali si vanno prima a posare le inedite corde vocali del batterista Brann Dailor, poi alternate con quelle di Troy Sanders e Brent Hinds. Nel mentre, le intessiture di chitarra sfumano l'una nell'altra, presentandosi a tratti estremamente heavy, a tratti eteree. Giunti alla fine dell'opener già disorientati, si viene accolti dal banjo delirante di Divination, che non tarda a proporre tutta la durezza di cui i Mastodon sono capaci. In Quintessence è la psichedelia a farla da padrone, con le chitarre che si esibiscono in una tessitura di fattura pregevolissima e stupiscono per la capacità che la band ha di interfacciare con tanta naturalezza passaggi estremamente duri e sonorità progressive dal respiro seventy.

Si giunge come se niente fosse alla prima delle due suite proposte in questo Crack the sky. The czar si introduce con discrezione pinkfloydiana tramite un fondo di tastiere, sul quale prende timidamente forma l'ennesimo psicotico arpeggio. Il brano prosegue regalando ancora una volta gli accostamenti che fanno da filo conduttore per l'intero ascolto, sui quali si alternano senza tregua le voci di Hinds e Sanders. I due cantanti si cimentano in passaggi che forse richiederebbero una preparazione vocale superiore. Tuttavia la bellezza delle composizioni e l'innegabile particolarità che i due timbri assumono in questo camaleontico contesto, fa sì che le loro limitate capacità dietro al microfono non tolgano nulla al valore dell'opera.

Ghost of Kharelia si ripropone con un riff delirante, mentre gli ingredienti fin qui citati si mischiano ancora una volta con consapevolezza e maestria tecnica. Nonostante l'estrema complessità, i brani non risultano mai noiosi e le composizioni mai pedanti, come accadrebbe se i nostri si limitassero allo sfoggio delle loro indubbie qualità. La titletrack, posta quasi alla fine, risulta essere in assoluto quella dall'ascolto meno impegnativo, almeno in relazione al resto dell'album. Mentre Hinds mette in campo tutta la sua cattiveria, Sanders gli si alterna dando luogo al passaggio più evocativo e sognante dell'intero album. Inutile far intuire l'estrema efficacia che il pezzo ha saputo dimostrare dal vivo in quel di Monza all'ultimo Gods of Metal.

Quando si pensa di essere giunti ormai in dirittura di arrivo, ecco che ci si trova a fronteggiare l'ultimo mostro di bellezza che i Mastodon propongono. The last baron è il secondo lungo brano annoverato nella tracklist. Anche in questo caso l'incipit è tranquillo, quasi acustico. Le chitarre, riccamente adornate dall'effettistica, accompagnano l'ascoltatore in un crescendo emozionante che poi andrà a esplodere in un pirotecnico spettacolo multiforme di suoni e colori, di cui difficilmente ci si stancherà anche dopo svariati ascolti. La genialità di molti passaggi, la perfezione del loro accostamento, la capacità di lasciare spiazzati a ogni nota senza infastidire fanno di The last baron il punto più alto dell'intero disco, nonché la summa perfetta di quanto proposto.

Una nota di merito va alle ottime linee di batteria di Brann Dailor, sempre precise e dinamiche, in grado di risaltare per la loro originalità e la capacità di dare pieno compimento, sia su disco che in sede live, alle composizioni intavolate dal gruppo. Per chi scrive, si tratta decisamente di uno dei migliori batteristi che mai si siano affacciati sul panorama metal.

A un tale livello musicale non potevano non affiancarsi liriche di eccezione. Anche dal punto di vista poetico, come in passato, i Mastodon dimostrano di non essere secondi a nessuno, cimentandosi in un flusso testuale che ha, come tema portante, il viaggio extracorporeo di un paraplegico. Le figure messe in campo richiedono un attento ascolto e un approfondimento che solo l'ascoltatore, nella sua individualità, può portare a termine.

In sintesi Crack the skye è un lavoro ottimo sotto ogni punto di vista e che conferma i Mastodon come una band completa a 360 gradi, sia dal punto di vista tecnico che artistico. Consigliato a prescindere dai gusti musicali.