Questo racconto di Riccardo Coltri m'ha fatto tornare in mente una lite che ebbi, tanto tempo fa, con un tizio. Il tizio sosteneva che l'horror è un genere per sadici, per depravati, per gente che gode solo nel vedere sbudellamenti e torture e mutilazioni; la prova di tali asserzioni era, secondo lui, la mancanza di storie d'amore e di sentimenti che non siano odio e cattiveria. Inutile sottolineare quanto il tizio fosse accecato dalle proprie convinzioni sbagliate, al punto di non accorgersi della verità.

Quale verità? Ovviamente che tanto, tantissimo horror è pervaso da "qualcosa" di struggente, di malinconico, da un non so che di autenticamente romantico. Tanto horror (inutile persino citare dei titoli) parla di amore. Certo, non lo propone quasi mai nella sua versione più melensa, più rassicurante. Quando l'horror parla di amore, lo fa con sincerità smodata e racconta di come sia insieme il sentimento più appagante e straziante che un essere umano possa provare. Via maschere e paramenti, via i luoghi comuni, rimane l'amore nella sua essenza, amplificato - e non distorto - dalla lente della fantasia.

Questo racconto di Riccardo Coltri m'ha anche ricordato che quando l'horror e una love story s'incontrano, possono nascere perle dark come questo Echi.

Buona lettura.

(IT)