Il Reverendo Marilyn Manson si diverte, muovendosi in quello che ormai è il suo habitat, popolato da devoti seguaci e da benpensanti che, obsoleti, continuano a consacrarlo perverso messia dell’autodistruzione. In realtà, se si potesse scindere la musica dal personaggio e si facesse ascoltare The Golden Age Of Grotesque ai suoi detrattori, non si susciterebbero certo reazioni di disgusto. Perché quest’ultimo album dell’Anticristo glam, altro non è che una conferma della strada intrapresa già con Holy Wood (2000): puro entertainment, gradevole “dance metal” che strizza l’occhio all’elettronica.

Mr. Manson regala un’ora abbondante (sessantuno minuti, per l’esattezza) di movimento nudo e crudo; non c’è un pezzo che brilli di luce propria (nonostante il successo del singolo mOBSCENE), ma una orecchiabile, dinamica, miscellanea “dark kitsch”. Manson sa benissimo che non siamo più negli anni Settanta, quando davvero si riusciva a essere trasgressivi in musica, quindi il suo intento è quello, intelligente e innocuo, di sfornare qualcosa che piaccia ai fan. Ecco allora una scaletta di quindici energici pezzi (più l’ipnotica marcetta Thaeter come “overture”) di sicura presa sul pubblico, non tanto per i famigerati testi maledetti, ma per il ritmo incalzante con cui si susseguono, corredati dai già noti suoni distorti e dalla graffiante, ambiguamente sensuale, voce del Nostro. Non siamo sulla stessa dimensione di Antichrist Superstar, qui è percepibile una sorta di ironia, che rende l’album un istrionico inno a questa “age of grotesque”. This Is The New Shit...? Obiettivamente di nuovo c’è ben poco, ma va bene così.

The Golden Age Of Grotesque è comunque un indovinato buon prodotto e poi… ci sarà sempre qualcuno che parlerà del Reverendo, soprattutto senza ascoltare i suoi dischi.