The Mediator Between The Head and Hands Must Be The Heart (Nuclear Blast) è il lunghissimo titolo del nuovo lavoro in studio firmato Sepultura, ispirato dal classico cinematografico di Fritz Lang, Metropolis, del 1927: le tematiche affrontate in questa nuova fatica discografica della band brasiliana, riguardano la deumanizzazione per mano della tecnologia, alla quale partecipiamo sia come spettatori che come attori, senza neppure rendercene conto.

La storia dei Sepultura comincia nel 1983, a Belo Horizonte, Brasile: da qui si avvia la band, destinata a diventare un esempio nel panorama death/thrash mondiale oltre che a ottenere un successo indiscutibilmente grandioso. A metà anni Ottanta la formazione si stravolge e oggi le schiere della band brasiliana vedono Derrick Green in veste di frontman, Andreas Kisser alla chitarra, Paulo Jr. al basso ed Eloy Casagrande dietro alle pelli.

The Mediator Between The Head and Hands Must Be The Heart è stato registrato nel mese di giugno a Venice, California, sotto la supervisione del produttore Ross Robinson (Korn, Machine Head, Fear Factory) e del co-produttore Steve Evetts (The Dillinger Escae Plan, Symphony X). Questo settimo album in studio con Derrick Green alla voce e il secondo per Nuclear Blast, vede come special guest l'apparizione di Dave Lombardo (Slayer).

Dai primi secondi di Trauma Of War ci possiamo già cominciare a preoccupare: una breve intro cacofonica introduce il pezzo ai limiti dell'hardcore, cattivo, ma in maniera elegante e raffinata. È una corsa all'impazzata in un ring pieno di sangue e denti sparsi per terra, incitata da una voce effettata e filtrata, potente ed energica: più che il pezzo va avanti, più che la violenza si mesta nel sangue, mentre un'atmosfera buia, nebbiosa, che emana un forte odore di interiora ancora calde, si sparge nella mente di chi ascolta. È un pezzo che non lascia tempo al respiro, per quanto si consuma velocemente e all'impazzata, di quelli che abbandonano con l'affanno senza aver mosso alcun passo.

L'inizio della seconda traccia presenta in maniera egregia il brano, intitolato The Vatican: canti da chiesa, campane e archi, vengono arsi vivi nell'ombra caliginosa di suoni inquietanti, che lasciano spazio agli strumenti per poter compiere l'ennesimo spargimento di sangue. Ci troviamo di fronte a un brano dal sound al limite tra il thrash e lo speed metal, molto coinvolgente e con un'atmosfera piuttosto horror: il sound delle chitarre è strisciante, acuto, incastonato perfettamente su un giro di basso corposo e appagante. Un doppio assolo sul finale del pezzo si presta a suonare come una pausa dal caos dei Sepultura, che riprende a marciare subito dopo, con un coro di demoni urlanti e un riff coinvolgente e godurioso.

Impending Doom prende il via come i brani precedenti, andandosi però a sfoltire in violenza, guadagnando qualcosa in groove: non c'è molto da dire sul pezzo, il quale purtroppo si rivela piuttosto monotono. Il cambio di situazione a circa metà brano è una ventata di novità troppo flebile per entusiasmare, nonostante le grida marce e grattate e la chitarra di Kisser a tentare di rianimare un po' il brano. Anche il finale è in sordina e un po' sottotono, ma è proprio grazie alla chiusura che si può apprezzare più distintamente il sound generale, molto buono e vibrante.

Manipulation of Tragedy inizia portando fin da subito un buon feeling: una pioggia di doppio pedale, chitarra a manetta e un basso ben coinvolgente ci deliziano con evoluzioni molto intriganti e lisce, oleose, piacevoli. La voce è un po' più su linee contenute, anziché sparata in scream acutissimo e talvolta stancante. Non c'è che dire, questo brano riesce nel proprio intento: intriga, con un sound esotico ed evoluzioni di chitarra veramente ben riuscite, giungendo a proporci un assolo ben disteso in un sentiero battuto: c'è sintonia fra i musicisti, si sente e si apprezza, cosa purtroppo non riscontrata in Impendig Doom.

Tsunami si fa valere per quel che è: una tormenta musicale, cupa e burrascosa, inizialmente perfetta dal punto di vista ritmico e strutturale. Il riff della strofa sazia, andando a placare la voglia di sentirsi pieni di una familiare e opulenta aggressività, anche se alla lunga cominciano a comparire i già noti sintomi di sovraddosaggio da ripetitività reiterata: è come se questo tsunami restasse fermo nello stesso identico punto di una zona ben delimitata, senza spostarsi né azzardare. Una lieve sterzata si nota nel bridge, ottimo, ma che avrebbe potuto arrivare un po' prima: qualche chitarra si fa notare melodicamente tra la mandria di note basse toccate e ritoccate, mentre una voce molto cupa ripete un mantra a profusione, poggiata su un tappeto ritmico che si infuria, fino a morire nel finale.

Molto interessante, fin da subito, si rivela essere The Bliss Of Ignorants, avviata da un'introduzione immediata e ricca di groove dal gusto tribale: il pezzo si apre in maniera molto fluida e convincente, con un ritmo azzeccato intrigante. Corpose le chitarre, decise le pelli, graffiante la voce: si può notare uno stacco abbastanza evidente tra la prima e la seconda metà dell'album, dove le idee non mancano e si fanno più interessanti. In particolare il finale di The Bliss Of Ignorants apre le porte alla splendida Grief, il pezzo più riuscito dell'intero lavoro, per portata di idee e comparto emozionale. Grief è una sorta di ballad, caratterizzata da strumenti delicati nella strofa, voce piuttosto pulita e grancassa funebre: non troviamo più quella violenza talvolta eccedente e monotona, incontrata fino a questo momento. Qui la situazione si fa più introspettiva e l'ingresso in scena degli strumenti distorti fa letteralmente accapponare la pelle. Tonalità minori, melodie a tratti toccanti che vertono su sfumature inquietanti nel ritornello, scelte a pennello: in particolar modo qui la voce è azzeccata, è un crescendo emozionale che parte dal basso, dal rassegnato, per andare a sfociare in un rauco, seppur melodico, che si rivela essere additivo, aggressivo, rabbioso, ma senza cadere nell'eccesso.

Torniamo su passi più familiari con The Age Of Atheist, pezzo che, però, fin da subito non entusiasma particolarmente: buona l'apertura più energica che segue la strofa, ma niente di che. Il pezzo sembra essere strutturato male, non ha né capo né coda, un peccato che certamente non ci si dovrebbe aspettare da una band che risponde al nome di Sepultura: è tutto troppo caotico, in senso negativo. Le chitarre sono sfuggenti, il tempo di orecchiare il riff che questo subito cambia, per di più in una maniera poco elegante: in pochi passi si finisce per trovarsi nell'oceano turbinoso di un assolo veloce, che rilascia nuovamente spazio alla confusione compositiva di strofa e ritornello. Il pezzo diventa intrigante nell'ultimo minuto di vita, con una parte strumentale molto corposa che, a pensarci bene, avrebbe potuto svolgere il ruolo di strofa anziché di mera conclusione.

L'interrogativo avvio di Obsesseed si muove su passi dispari, finendo per correre in una foresta fitta di aggressiva corpulenza metallica: il pezzo è accattivante, la parte ritmica è una scarica di adrenalina gratuita, visto anche il duetto alle pelli del giovane batterista Eloy Casagrande con l'ospite speciale, Dave Lombardo. Il brano, in linea di massima, funziona abbastanza bene, scuotendo l'ascolto postero al duetto di batteria con un grido agghiacciante e dal sapore ferroso.

Il lavoro si conclude con la cover di Da Lama ao Caos, firmata Chico Science & Nançăo Zumbi: intonata da Andrea Kisser, apre un grande punto di domanda. Non era meglio sfruttarla come bonus track, anziché riporla nella tracklist di un lavoro abbastanza coerente per sonorità e tematiche affrontate?

The Mediator Between The Head and Hands Must Be The Heart porta con sé un messaggio chiaro, netto e condivisibile: la tecnologia, inventata dall'uomo per l'uomo, ci sta robotizzando, infettando i rapporti affettivi, sociali, la vita personale di crescita ed evoluzione.

Questo messaggio, tuttavia, rischia di non essere recepito a pieno titolo, a causa dei problemi compositivi del lavoro buono, sì, ma che presenta in molte delle sue tracce una confusione massiccia e considerevole: dall'altro lato, ci sono tuttavia esempi degni di merito, lodevoli da ogni punto di vista e in grado di coinvolgere corpo e anima di chi ascolta, come Grief.

Nella maggior parte dei brani ci troviamo però di fronte a scariche di aggressività gratuite e poco conclusive, si aprono spiragli su porte che non vengono né attraversate né richiuse: per valutare questo lavoro è impossibile non considerare tutti quei pezzi indefiniti, indefinibili e confusionari.

Se ci chiediamo quale sia la sensazione dominante che possiamo trarre da questo lavoro, ci potremmo rispondere che proviamo un'angoscia disordinata. Considerato il tema portante dell'album, la deumanizzazione della società che vive ai giorni nostri, la sensazione è più che azzeccata e dovrebbe spingerci a riflettere più da vicino sulle nostre scelte: vogliamo essere umani o macchine?