Era solo del 2011 Edge of the Earth, il secondo album dei britannici Sylosis, fortunato seguito di quel Conclusion of an age che nel 2008 li aveva portati alla ribalta nonostante il luogo di origine (Berkshire) e l’era non fossero poi così favorevoli al thrash. Eppure, la band esce di nuovo con questo Monolith, già ampiamente apprezzato dai preascolti della critica e terzo album ufficiale in studio per Nuclear Blast.

Registrato ai Monnow Valley Studios (Black Sabbath, Juds Priest, Rush), sotto l'egida del produttore Romesh Dodangoda, Monolith si presenta 'compatto' e monumentale come da titolo sia sul piano musicale che tematico, con riferimenti alla mitologia greca.

Il thrash della vecchia scuola è portato agli estremi, con una produzione moderna che strizza l’occhio a numerosi sottogeneri metal venuti dopo, dal death al melodic, dal core al progressive, il tutto combinato in un amalgama omogeneo e senza troppi fronzoli, curato negli arrangiamenti ma al contempo abbastanza rude da andare dritto al sodo. Pesanti, ma accessibili al grande pubblico; portano qualcosa di nuovo, senza apparire commerciali al tempo stesso.

Se le influenze principali sono da ricercare in Metallica, Sepultura, Testament, Death, Symphony X e Opeth, l’approccio dei Sylosis risulta chiaro dalla definizione che Metal Sucks – che ha rilasciato lo streaming – dà del riff del primo brano, Out from Below: “uno dei migliori riff dei Metallica, che i Metallica non hanno mai scritto.” Anche se credo che l’autore dell’articolo volesse riferirsi più all’arpeggio iniziale che al riff vero e proprio, ci sarebbe in ogni caso da aggiungere: “se stessimo parlando di ipotetici Metallica di oggi ancora con lo spirito di ieri.” Fatte queste dovute premesse, il vagheggiato c’è tutto. Associandolo a un ottimo songwriting e alle succitate influenze successive – nel complesso dell’album la voce si mantiene perlopiù sullo scream e il growl - possiamo ben dire di trovarci di fronte al sogno di ogni metallaro duro e puro.

Nonostante una breve introduzione morbida, con Fear of the world la furia non si arresta, mentre in What Dwells Within compaiono abbondanti elementi nu metal/alternative/industrial, solo accennati in un passaggio del brano precedente. In Behind the Sun si affacciano stralci di voce pulita e una sezione d’archi, nonché passaggi distesi e melodici. A partire da metà traccia, The River si presenta relativamente più rilassato, quasi ‘romantico’ nell’episodio solista della chitarra. Il suono si ricompatta subito dopo un arpeggio – pur se su valori inizialmente moderati - con il brano che dà il titolo all’album; Paradox scatta furiosa, per arrivare a un finale epico che sfuma nel sommesso.

A Dying Vine si sviluppa fra il thrash classico e la rabbia contemporanea, ma non mancano momenti orchestrati e passaggi melodici della chitarra solista sempre di buon gusto e fantasiosi che si chiudono addirittura in acustico. All is not Well dipana un riff secco e martellante che si fa a tratti più sinuoso; Born Anew è molto aggressiva, sostenuta da una sezione ritmica instancabile e sempre in corsa, fino alla lunga conclusione di Enshrined che, dopo un’interminabile sezione ‘fantasma’ centrale, si riaffaccia su un finale definitivo lieve e pulito

Certo, dopo quasi un’ora e un quarto di rabbia ferocissima è facile che la testa e le orecchie possano risentirne, ma è proprio qui che invece emerge la validità di una band a confronto di tante altre. Ascoltare per credere.

Ricordiamo che il prossimo 30 ottobre la band partirà in tour con Lamb of God, In Flames, Hatebreed e Hellyeah.

Tracklist:

01.Out From Below

02.Fear the world

03.What Dwells Within

04.Behind the Sun

05.The River

06.Monolith

07.Paradox

08.A Dying Vine

09.All is not Well

10.Born Anew

11.Enshrined

Formazione:

Josh Middleton, voce e chitarra

Alex Bailey, chitarra

Carl Parnell, basso

Rob Callard, batteria