— Liti. Discussioni. Tonfi di oggetti. Urla nel cuore della notte. Un continuo bisticciare con toni disumani. Per mesi e mesi.

Fa una pausa. Le mani sono congiunte davanti, in una posa contrita. Un becchino. Ecco cosa sembra. In attesa della bara all’uscita della chiesa. Un altro brivido, incontrollato.

— Vuol sapere come la penso? La rabbia, il rancore, l’odio… se sprigionati in maniera violenta e a lungo, lasciano una traccia.

Lo guardo perplesso. — Una traccia?

— Si condensano. Solidificano, vengono assorbiti dai mobili, dalle tende, dai muri. Il potere della mente umana non va mai sottovalutato. In casi come questo si creano bolle, come anomalie magnetiche. — Si lascia andare a una risatina lugubre, si tocca la tempia con l’indice. — Influenzano la mente. E fanno fare cose strane.

Una paura fastidiosa mi scivola lunga la spina dorsale. Fuori qualcuno suona un clacson. Una bestemmia, una donna sbraita. Cerco una risposta sensata ma prima di poter farfugliare qualcosa l’uomo, a piccoli passi, esce dall’appartamento, lasciandomi solo.

Accendo la luce. Neon bianco e freddo. Invece di spazzar via le paure sembra renderle ancora più reali. Strizzo gli occhi infastidito.

Rancore? Bolle? Magari un appartamento maledetto? Ci mancava solo questa, stamattina. Scuoto la testa, arrabbiato. Torniamo al lavoro, piuttosto. Frugo un po’ sul tavolo, controllo i titoli dei libri, cerco l’agenda telefonica. Solita routine. Dalle scale arrivano suoni ovattati. Il portello dell’ambulanza che si chiude, qualcuno che urla.

La pioggia è aumentata. Quasi un diluvio. Raffiche d’acqua sbattute dal vento rigano i vetri delle finestre.

La cucina è un caos completo. Pentole per terra, sportelli aperti, persino un piatto di pasta rovesciato. Sugo rosso con penne, come una chiazza di vomito e sangue. Appoggio una mano su una parete. La ritraggo subito, impaurito.

Scotta.

L’intonaco pulsa, con un ritmo veloce, come un cuore malato. L’aria è stantia, satura di un profumo intenso, dolciastro. Fa male alla testa.

Un disordine terribile. Irritante. Colpa del marito, ovvio. Gli uomini sono sempre così… trasandati. E non hanno il minimo rispetto per chi sta tutto il giorno chiuso in casa a far faccende. Davanti a me un paio di scarpe. Sporche di fango. E’ entrato con quelle ed è arrivato sino in sala. Ma ci rendiamo conto! Impronte per tutto il pavimento, pulito stamattina. So già cosa troverò in bagno. Mozziconi di sigaretta. Troppo scomodo uscire in terrazzo. Il fumo freddo impregna le tende, bisogna lavarle per mandarlo via.

Io non fumo, lui lo sa. Mi dà fastidio.

Ma se ne frega.

Respiro male. Il sudore mi cola dalla fronte, lo stomaco è contratto.

I muri pulsano, si gonfiano, rantolano come un malato terminale. Di colpo dal soffitto cola acqua. Piccole gocce, scendono in rivoli lenti. Lacrime. Sembrano lacrime.

Una fitta improvvisa. Un dolore alla guancia. Corro in sala, allo specchio.

E’ rossa.

Uno schiaffo!

Apro al bocca, stupito. Non solo è disordinato, non si preoccupa del mio lavoro. Mi ha dato uno schiaffo. Per la pasta scotta. Cucinare è impegnativo. Come fa a non capire quanta fatica c’è dietro? Sento delle voci, di sotto. I suoi amici, di sicuro. Stanno per salire. Li avrà invitati a vedere la partita. Anche di giorno, adesso. Bestemmie, birra sul tappeto e puzza di sudore.

Ora basta. E’ una questione di dignità, di rispetto.

Estraggo la pistola e corro sul pianerottolo. Scendo le scale e inizio a sparare. I colpi sono come tuoni, si mescolano al rombo del temporale, al tambureggiare della pioggia, al vento che fischia. Una testa esplode in una nuvola rossa.

Un idiota in meno.

Urlo. Strillo come una forsennata per farmi sentire al di sopra gli spari.

Fuori di qui, barboni ignoranti. Non avete un minimo di rispetto. Tornatevene a casa, bastardi.

E portatevi via pure mio marito!