- Nuuu, vi pvego, Dio M.

Chiuse gli occhi e tirò il grilletto. Li riaprì una frazione di secondo dopo per vedere la calotta cranica del ragazzo rimbalzare sul pavimento catramato come un frisbee, e un bulbo oculare attaccato a un filamento di nervo ottico che saltava come uno yo-yo.

- Bravo picciotto - dissero i Muti all’unisono, mollando il corpo del ragazzo. Crollò come una marionetta, sprizzando brandelli di materia grigia e sangue dal cranio sventrato.

Poi accadde tutto così in fretta e allo stesso tempo così adagio che Salvo pensò di essere piombato in una bizzarra bolla temporale. Prima ci fu il suono.

Cli-ting!

Una sorta di tintinnio metallico, affilato.

Dopo, l’odore. Odore d'acqua marcia, di moli muffosi, di mercati rionali del pesce in una domenica affollata, di reparti ospedalieri per malati terminali dove macerano le piaghe da decubito.

I Muti si voltarono, genuflettendosi adoranti. Solo allora, anche Salvo Basile si girò nella direzione da cui proveniva il suono. Verso la cisterna.

- Madonna! - La parola gli scappò dalle labbra, e uno dei Muti sollevò il viso verso di lui con un mezzo sorriso. I suoi occhi brillavano come quelli dei fedeli davanti alla grotta di Lourdes.

- Oh no. No. Lei è molto più antica della Madonna - sussurrò.

Dalla sommità della cisterna, da quella maledetta cisterna putrescente, stava uscendo qualcosa. Qualcosa di grosso che estroflesse un corpo da sanguisuga e piombò sul terrazzo. Mentre l’incubo avanzava verso il cadavere del giovane, Salvo inquadrò zampe aracnoidi e pelose.

Poi la creatura piombò sul corpo, e solo allora vide la faccia da vecchia che affondava denti gialli e acuminati nella testa squarciata. Un viso consumato dalle ere, percorso da rughe profonde come ferite, una bocca tirata in un rictus dalla quale spuntò una lingua nera a lappare il sangue.

Marrabbecca.

Salvo sollevò con un gesto automatico la mano che reggeva la pistola. Fece fuoco, urlando. I colpi affondarono nel corpo gommoso con un plop e le labbra della cosa si tirarono in una parodia di ghigno, prima che la testa calasse di nuovo e le fauci afferrassero il ragazzo morto. Veloce come un insetto, la vecchia di Drepanon si ritirò nella cisterna trascinando la sua preda. La preda che Salvo aveva ucciso per lei.

Prima di sparire, il poliziotto ebbe il tempo di scorgere sulla schiena flaccida della bestia delle facce, dei volti incastonati nella carne. Volti con bocche spalancate in mute grida di strazio, e tra questi riconobbe quello di Totò, lo sbirro che aveva cercato d’infiltrarsi tra gli Sciarra prima di lui.

Crollò in ginocchio tra i due Muti.

- C’è nu patto tra la famigghia e a’ vecchia - disse quello alla sua destra. - Noi le portiamo cibo, lei… lei ci aiuta. Sappiamo che sei uno sbirro, Salvo, e se non vuoi fare la fine di Totò ascolta a noi… Meglio che la adori. Col sangue giurasti. Meglio che passi dalla parte dei cattivi, picciotto…

Salvo scoppiò a piangere e si puntò la Beretta alla tempia. Gemendo, si ricordò di aver finito i proiettili.

Perlomeno, adesso sapeva chi muoveva i fili, oh sì, adesso che era tutto inutile sapeva chi era il nuovo Boss.

La Signura di li Tanchi. Marrabbecca. La vecchia di Drepanon.

Era lei a governare. E la città, la Sicilia, forse l’Italia intera, erano il suo regno di terrore.