Madre Mostro (Acme, 1991), è, invece, la tua seconda raccolta di racconti horror che approfondisce il discorso iniziato con Primi Delitti e analizza il rapporto tra genitori e figli. Quelli di Madre Mostro sono racconti violentissimi, senza speranza, totalmente neri. Le atmosfere sono quelle della fiaba, allucinate e paranoiche e il filo conduttore dei racconti è la sofferenza, il supplizio, la pena continua. C’è stata una maggiore consapevolezza in questo secondo progetto e una più consapevole ricerca di una tua cifra stilista e di contenuti?

Ho iniziato a sviluppare i racconti di questa seconda raccolta con la consapevolezza acquisita del successo del mio esordio. Ho quindi deciso di liberare le mie più profonde visioni dell'horror, cercando di elaborare il linguaggio in maniera più personale ed espressionista. Primi delitti erano (e sono) appunti di storie. Madre Mostro volevo che fosse la cifra definitiva, nell'incoscienza del mio pieno edonismo creativo: è una raccolta di racconti pensati per divenire racconti, con una ricerca più ponderata delle strutture e della definizione dell'immagine. E' la mia estetica horror. Prima di affrontare la stesura del libro ho approfondito studi su testi universitari di medicina e medicina legale. Sì, la totale assenza di ironia e l'iperrealismo gore-splatter fanno di questa raccolta un momento davvero apocalittico, teso alla disintegrazione più nichilista dell'umano, senza possibilità di trascendenza positiva. Curiosità, il finale del film Saint Ange di Pascal Laugier (2004) è uguale alla chiusura di uno dei miei racconti di Madre Mostro. Ho fatto un film senza saperlo. 

Arriviamo al 1992 con Prigioniero del Buio (Granata Press), il tuo primo romanzo breve. Come ricordi quell’esperienza?

È stato un parto luminoso. Fino ad allora, la dilatazione della massa dei racconti si era spinta sempre più in là delle mie possibilità. Quindi, affrontare il primo romanzo non è stato semplice. Non ho mai seguito corsi di scrittura, ma mi sono nutrito di libri. Quindi, è stato un po' come sviluppare Primi delitti, mettendo assieme appunti evoluti e poi concordati nell'apparato della storia. La scommessa che mi ero dato consisteva nella scenografia di un'isola italiana: due contesti in uno che nulla hanno a che fare con i necromatismi dell'horror. E in più, risucchiare un character dal mito dei miti, l'uomo nero, e dargli finalmente un respiro, facoltà substanziale e motoria è stato il massimo delle mie aspirazioni iniziali. Al di là della gratificazione personale, di aver messo assieme un romanzo, fondamentale fu il consenso di una storica figura come Luigi Bernardi che volle pubblicare il tomo per la sua Granata Press. Era la mia prima volta “fuori casa”, dopo anni trascorsi con Coniglio. Andrea G.Pinketts ha presentato il romanzo a Milano, sottolineandone retrogusti di Pablo Neruda e Garcia Lorca.

Il Dipinto Ucciso (Granata Press, 1993) è, invece, il tuo secondo romanzo, più ambizioso e cervellotico del precedente, dove il non detto si alterna allo splatter più esplicito. La storia era stata concepita anni prima e rielaborata per l’occasione. Come hai avuto modo di dichiarare, questo romanzo è, rispetto alle opere precedenti, di più difficile lettura. Come mai questa scelta e qual era in tuo obiettivo in quel momento?

Subito dopo Prigioniero, volevo dare fondo alla materia più nera dell'orrore. Avevo in mente Magritte, Ligabue e Rousseau e Il Ritratto di Dorian Gray. Trascinando un'idea a me cara (che non avrei sviluppato in forma di fumetto nemmeno in cento anni), ho pensato che il romanzo fosse la dimensione più consona per una storia che parlasse di gente uccisa e trasferita su tela coi colori della propria carne lavorata. Sostengo che la lettura non sia facile, di quel romanzo, non perché io mi ritenga uno scrittore di libri impegnati... quel romanzo soffre proprio del difetto di muoversi linguisticamente nel territorio della psichedelia e di voler trascinare a forza il lettore in due dimensioni parallele dove avrebbe dovuto prendere appunti per non perdersi. E' fortemente sbilanciato tra forma e contenuto: insomma, risente di un narcisismo che soffoca la storia. Il fatto è che non ho ricevuto critiche, quando l'ho presentato in casa editrice, nessuno mi ha suggerito di tagliare. Da una parte è un bene, perché ti senti rispettato, ma dall'altra può essere un male, perché di un libro, a volte, non tutto è necessario. Per cui, ora, quel romanzo è una lettura totalmente disarmante, dove la mia presenza fa casino e mi disturba la lettura  della storia.

La tua scrittura è sempre stata caratterizzata dalla ricchezza di aggettivazione, uso di similitudini, un ricco vocabolario in grado di evocare immagini molto potenti. I racconti di Che hanno da strillare i maiali? mostrano una significativa evoluzione: è presente una buona dose di ironia (totalmente assente nelle prime opere), una precisa localizzazione temporale e geografica (Roma, per esempio in Caccia all’uomo chiamato Ficantropus, Comacchio di Dio c’è ma non risponde, Treviso in Ballata macabra della fanciulla preistorica), e la presenza del sesso (anche se deviato e disturbante o morboso come la pedofilia). Cos’è cambiato nel tuo modo di scrivere rispetto ai tuoi esordi? Cosa cerchi di far emergere quando scrivi un racconto o un romanzo?

Rispetto agli esordi cerco l'immagine forte ma estremamente limpida, parole interessanti e giochi armoniosi per plastilinizzare al meglio la mia storia. Ora tutto è sempre in funzione della storia. Nel processo di raffinazione, attualmente punto a eliminare gli orpelli: non voglio che il lettore sia disturbato dalla mia presenza: il lettore deve scivolare dentro il testo senza saperlo, quasi, senza sentire la mia voce, nessuna voce: deve credere che il racconto si è fatto da solo. Cerco di raccontare per immagini e soprattutto penso, attualmente, molto di più al piacere del lettore. Il mio obiettivo è la semplicità, oltre che una storia interessante, e a personaggi credibili, dotati di reazioni credibili e incredibili. Quando le mie parole avranno la sublime forma dell'autore invisibile dietro le parole, allora io avrò raggiunto il mio scopo. In un film vedi un film, e il secondo livello della percezione ti dice che dietro quel film ci sono molti uomini che hanno fatto un gran bel lavoro. Ma quel che resta, prevalentemente, è il film. Il mio scopo di narratore non è dimostrare quanto sono bravo a scrivere, ma quanto lo sono a scomparire dietro la matematica delle parole nella storia che voglio raccontare. Quel che al lettore deve restare è un pozzo di impressioni e visioni. Poi, se ricorda che dietro all'apparato di cui ha goduto ci sono io, naturalmente è un punto a favore.

Con il disegnarore Andrea Domestici hai, di recente, firmato il Bambino dei Moschini una gothic novel, con atmosfere che richiamano i film di Tim Burton. Il primo numero è uscito per 001 Edizioni. Com’è nato questo progetto e la collaborazione con Domestici? Ci saranno futuri sviluppi?

Conosco Andrea da quasi 20 anni, e finalmente era arrivato il momento di fare qualcosa assieme. Un giorno mi ha mostrato i suoi studi su un personaggio circondato da moschini. Erano dei soggetti fantastici, che mi colpirono senza speranza. Gli dissi che avrei voluto assolutamente scriverne la storia, ma il Dom aveva già assegnato il compito ad altri. Per mia fortuna, Andrea non fu contento dei risultati ottenuti, così sviluppai la cosmogonia adeguata al personaggio che battezzai e dotai di un profilo completo. Tracciando il background delle caratteristiche di Artibal, il bambino dei moschini, la storia venne da sé perché lui, la sua natura, contiene già un plot. Proprio come Spiderman. Il mio lavoro piacque alla 001 (le matite di Andrea facevano ovviamente la loro parte) ma a noi non piacque la vicenda editoriale che la 001 mise in piedi sul nostro lavoro. Dopo essere quasi venuti alle mani con l'editore, abbiamo trovato uno sbocco in Francia con Clair de Lune sviluppando la storia completa, che fu poi acquisita da DEd'A, pubblicandolo in cartonato in libreria e messo in vendita online. Gli sviluppi attorno ad Artibal ci saranno ma è prematuro parlarne...

Oggi, invece, sei diventato capo redattore della rivista Icomics e in campo fumettistico ci sono delle importanti novità. Ce ne puoi parlare?

Dino Caterini mi ha chiesto di dirigere la redazione di iComics. Assunto l'incarico, che mi ha portato di nuovo a fianco del suo socio in Kawama nonché mio maestro di sceneggiatura Roberto Dal Pra' (nel laboratorio Phantasmagorie di Francesco Coniglio, anno 1984). Non ho perso tempo: a ottobre 2010 accetto l'incarico e allo stesso tempo propongo il mio vecchio progetto: un mensile horror. Usciremo a marzo con storie nuove, scritte da me, per disegnatori noti e esordienti, mescolando stili e portando l'horror a un neoclassicismo, dove la cruenza delle azioni si sposa a storie disturbanti e sospese nella migliore tradizione Cronenberg-Balaguerò. Mi affianca per una importantissima sezione della rivista, il grande Massimiliano Filadoro, egregio e perfetto sceneggiatore horror di storie che lasceranno il sengo. Usciremo a marzo 2011, all'improvviso, con un'azione viral su rete a ridosso dell'uscita cartacea, sempre con pochissime info.

Il tuo nuovo romanzo, invece, è in dirittura di arrivo. Un romanzo “splatter burlesque”, che si preannuncia sicuramente molto interessante per gli amanti dell’horror e di quelli che ti seguono da tempo. Mi hai detto che lo hai definito “hardgore” in maniera molto ironica, ma che già la dice lunga su quest’opera. Ci puoi anticipare qualcosa di questo progetto?

Proprio per prendere il meglio dall'esperienza dell'iperrealismo dei racconti di Che hanno da strillare i maiali? abbandono la cronaca e torno all'horror con un tema di cui già un anno e mezzo fa predicavo il ritorno planetario, gli zombi. Niente di nuovo, certo ma, come sempre, è tutto condotto a modo mio. Vloody Mary esce a febbraio per Coniglio editore ed è un ulteriore esperimento. E' un romanzo asciutto, filtrato ed epurato da barocchismi. E' così scarno da rasentare l'inutilità. Scherzo, lo amo da morire. Non mi annoio quando lo leggo. Ho solo raccontato una serie di fatti, eliminando - spero in maniera definitiva- ogni narcisismo per dare spazio totale alle vicende. In base a questo, i personaggi hanno agito da soli, pertanto accade di tutto e ho l'impressione che i fatti avvengano fuori del mio controllo. E' la storia di un grande, sconquassato amore lesbico, è una storia di necrofilia pura, di sopraffazioni sessuali, di darwinismo lombrosiano in una torba di musica rock, con ossessivi riferimenti precisi dal punk al rock alla dark music. Il teatro è Roma e la sua radio indipendente di culto, Radio Rock. Poi ci sono un commissario, un anatomopatologo e padre Sebastiano, il don Matteo che si ciba di anime già visto su La Sete. Insomma, è una storia sporca, un lampo, mi auguro, dove l'ironia vagheggia con il crudo della necrofilia e il piacere estremo dello smembramento della carne, con la lente blu e la velocità di uno sceneggiato televisivo in iper-color. In realtà è la mia prima prova Necro-Romantica, dove si indaga sul culto della morte in tutti i suoi aspetti. E il sesso non è che una delle porte alchemiche.

Ti ringrazio per il tempo che ci hai dedicato per questa lunga intervista. Vuoi aggiungere, infine, qualcosa?

Io ringrazio voi. Vorrei aggiungere la precisazione doverosa: nel caso avessi annoiato il lettore, qui e sulle pagine dei miei prodotti, si sappia che “non si è fatto apposta”.

Si ringrazia Roberta Mochi per le informazioni sulla parte bibliografica dell'autore.

Paolo di Orazio scrittore, sceneggiatore e musicista. Autore delle antologie Primi Delitti (ACME, 1989 e Castelvecchi, 1997 in edizione ampliata) e Madre Mostro (ACME,1991), dei romanzi Prigioniero del Buio (Granata Press, 1992), Il dipinto ucciso (Granata Press, 1993) e di alcuni racconti sparsi (RadioRai, Addictions, Urania) è stato anche coordinatore redazionale, responsabile della corrispondenza con i lettori, redattore ed editor per le riviste Splatter, Mostri, Splatter Poster, Zio Tibia- la clinica dell’orrore (ACME, 1989 – 1991). Ha scritto soggetti e sceneggiature per il mensile a fumetti Cattivik (ACME, 1990-91) e per la storica rivista statunitense Heavy Metal. Ha inoltre firmato la graphic novel Il bambino dei moschini (Claire de Lune, 2009) per i disegni di Andrea Domestici.