Il reverendo Cotton Marcus è un oratore coinvolgente. I suoi sermoni sono seguiti con entusiasmo da un gran numero di fedeli. Marcus conosce la Bibbia alla perfezione e predica fin da quando era bambino: il suo talento fu scoperto dal padre, anch'egli predicatore, che iniziò ben presto a coinvolgerlo nelle sue omelie. Un talento che ora cela perfettamente una mancanza di motivazione e una crisi di fede.

Marcus è anche un esorcista, ma è convinto che gli “indemoniati” siano solamente persone con problemi psicologici, bisognose di cure. Ormai intenzionato a smettere di mentire a se stesso e agli altri, il reverendo decide di compiere il suo ultimo esorcismo, questa volta però portandosi dietro tecnico del suono e cameraman, per filmare il rituale, rivelare la realtà dei fatti e squarciare definitivamente ogni velo. La protagonista del documentario sarà la povera Nell, una ragazzina ritenuta posseduta, che vive con padre e fratello in una sperduta fattoria della Louisiana.

Ci viene da riflettere su ciò che è rimasto del cinema horror. I sussulti di qualità oggi si contano sulle dita di una mano, a essere ottimisti. E ormai molti film sembrano trovare fonte d'ispirazione solo nel passato. Passato come remake, come citazione, come resurrezione (basti pensare al Nightmere di Samuel Bayer), come spunto senza di cui risulta impossibile raccontare. Passato anche come fuga da qualcosa che ci precede, che vogliamo lasciarci alle spalle, ma da cui non possiamo mai fino in fondo separarci.

Anche L’ultimo esorcismo si inscrive naturalmente in questa tendenza. Ancora una volta un film sul rituale dell’esorcismo cattolico: un tema che non smette mai di avvincere e allo stesso tempo di inquietare, perfetto per risvegliare paure nascoste e antiche quanto l’uomo. Un richiamo inevitabile ai suoi predecessori, tra cui il più celebre è senz’altro quello del 1973, L’esorcista. Un falso documentario, come ce ne sono stati tanti, da The Blair Witch Project in poi, con uno stile di ripresa convulso e spesso privo di regole per inscenare al meglio la situazione in cui si manifestano presenze demoniache.

Considerato dalle premesse il film del tedesco Daniel Stamm (A Necessary Death, 2008) risulta interessante. Il suo assunto iniziale è infatti quello di far convivere razionalità e reazioni più viscerali, lasciando emergere anche uno spazio critico, di riflessione, sul mai concluso confronto tra religione e psicanalisi. In questo senso l’aneddoto narrativo e il linguaggio in puro stile reality sono più che pertinenti. Lo sforzo del regista di abbattere la cosiddetta quarta parete non può che essere una buona scelta. E il tentativo di gettare il pubblico dentro il film può in un certo senso corrispondere a quello del reverendo di svelare la verità dell’esorcismo. Stamm, come Marcus Cotton, vuole che lo spettatore reagisca, che si faccia coinvolgere totalmente dalla storia, che partecipi e si scagli dentro la trama prendendone parte e definendone i contorni con il proprio giudizio. Questo e le ottime performance dell'esordiente Ashley Bell, nel ruolo della fragile Nell, e di Patrick Fabian (nel cast di diverse serie Tv tra cui CSI: NY, 2010, Big Love, 2009-2010, La vita secondo Jim, 2009) basterebbero già per fare un buon film.

Ma il lungometraggio scritto da Huck Botko e Andrew Gurland (The Virginity Hit, 2010), funziona fino a un certo punto e poi si tradisce. E come se si rompesse un incantesimo nel bel mezzo della narrazione, viene da chiedersi perché le riprese in molti casi siano ostinatamente sfocate, mosse e in controluce. In alcune sequenze sorge addirittura il dubbio che i cameraman siano diventati due. Così, sempre di più verso il finale, proprio il codice utilizzato per innescare il processo di verosimiglianza provoca un effetto contrario: tutto appare palesemente artificioso e l’ottima credibilità degli attori non basta più.

Buttiamo uno sguardo veloce intorno per vedere chi sono i nostri vicini in sala, cerchiamo di allungare l’orecchio per sentire gli adepti-cinefili del cinema dell’orrore (ma ci sono ancora?) scambiarsi giudizi a caldo. Il film è appena finito e il sottofondo dei titoli di coda è pressoché questo: un falso documentario che non finisce di convincere. Daniel Stamm e il suo finto esorcista promettono più di quanto possono mantenere. E come spesso succede, una mano forzata e approssimata mandano all’aria tutte le inquietudini. Svaniscono le ambiguità: se per un po’ potevamo dirci turbati – a tratti terrorizzati – alla fine realizziamo di avere assistito a una fiera del male, abbastanza banale, forse già vista.