Una giovane coppia che sta per sposarsi, ma  che allo stesso tempo vive un momento di forte crisi sentimentale, decide di trascorrere un week-end in campagna nella vecchia casa paterna di lui. Il loro soggiorno viene presto disturbato da violenti colpi a porte e finestre provenienti dall'esterno, provocati da tre persone mascherate decise a terrorizzare e torturare i due intrappolati in casa...

Il film di Bryan Bertino è stato accolto a caldo dalla critica statunitense senza grandi entusiasmi, per non dire in modo nettamente negativo, forse perché ritenuto un clone di molti film simili come Funny Games (1997) di Haneke (già sottoposto a remake) o Them (di Moreau e Palaud, 2006). Tali critiche, a chi scrive, appaiono un tantino sbrigative da tutti i punti di vista. E’ vero che la sceneggiatura ricalca altri impianti narrativi similari, ma se volessimo portare questa obiezione alle estreme conseguenze, dovremmo dire che dopo A Clockwork Orange (1971) di Kubrick, il resto della celluloide che trattasse temi omologhi sarebbe tutta da buttare nella spazzatura. Ovviamente (e fortunatamente) non è così. E infatti The Strangers è un mirabile esempio di riscrittura con mano originale e trasformativa di un tema ben noto. Mano creativa che utilizza sapientemente la cornice, il frame, e che non si fa intrappolare da uno script appunto stravisto, per elaborare soluzioni all’insegna della tensione, dell’ansia e della pura paranoia. In questo film sono infatti più importanti la colonna sonora e la fotografia che il narrato in quanto tale, il filmico puro, il “visivo”. Si tratta di un film che non mette in mostra, ma che al contrario fa intuire, toccando le corde della nostra sensorialità su versanti laterali e inaspettati. Ecco quindi che il bussare sinistro alla porta di casa diventa traumaticamente potente e ci inchioda alla poltrona, più che un braccio amputato qualsiasi; oppure un rumore sordo e misterioso, o lo scricchiolare di un vinile che s’incanta ossessivamente sul piatto del giradischi, tendono i nostri sensi molto più di qualche litro di sangue insulsamente versato. Ma non c’è solo questo. C’è la banalità, la gratuità del male, il non-senso che viene eretto a sistema e rappresentato cinematograficamente attraverso un rapido scambio di battute:“Why you are doing this to us?” chiede una disperata Liv Tyler ai tre aguzzini. E una delle due ragazze risponde con voce inespressiva:“Because you were home”. “Perché eravate in casa”. Qui la poetica di Bertino si fa chiara e penetrante: non è più necessario evocare zombie semidecomposti, oppure serial killer “predicatori” che ti uccidono per i tuoi peccati. La violenza della “home invasion” deriva dall’assenza di senso. The strangers è in questo senso preciso un film con un andamento “in levare”, più che “in aggiungere”, che non si fonda sulla consueta polarità filmica voyeurismo-esibizionismo, ma che fa invece diventare angosciante un dettaglio come il ricciolo strappato della tappezzeria. Un film che veicola un pensiero e una riflessione su tutti i film di genere, insomma. Il che è notevole se pensiamo che Bertino faceva fino a ieri l’elettricista, nonché al fatto che ha appena trent’anni. Su questa linea poetica è possibile che si collochi anche la scelta di far interpretare una delle ragazze-torturatrici alla modella Gemma Ward, habituè di passerelle molto in vista, ma qui ovviamente ben nascosta dietro una maschera. Un aiuto considerevole arriva a Bertino dall’ottima fotografia (pastosa e densa di ombre e chiaroscuri in perfetto dosaggio) di Peter Sova. Nota di leggero demerito invece per i due protagonisti: una Liv Tyler che non sembra del tutto identificata con il personaggio, e anche un po’ eccessivamente e inutilmente patinata; uno Scott Speedman scarsamente espressivo e leggermente meccanico anche nelle scene di maggiore azione. Ma non importa: il matrimonio tra regia, sceneggiatura (sempre di Bertino) e produzione è ben riuscito e partorisce un film che non dimenticheremo.