Quando intuisci che c’è qualcosa là fuori, ma quel qualcosa è al di là del mondo fisico, allora rimangono la religione o l’arte come unici metodi per raggiungerlo.

Proprio questa frase, dello stesso Guillermo del Toro, fornisce la chiave di lettura principale per la sua produzione artistica. Nato nel 1964 a Guadalajara, il giovane Guillermo si forma su alcuni classici del cinema sviluppando una precoce ossessione per il genere macabro (Mario Bava e George Romero fra le sue principali influenze). Attivo in vari campi, dall’organizzazione di festival del cinema e compagnie cinematografiche fino alla realizzazione del make up in alcuni progetti ben presto del Toro passa alla regia per alcuni telefilm arrivando infine al suo esordio cinematografico, Cronos (1992).

Mischiando atmosfere torbide e surreali a strani complotti per il possesso di uno scarabeo dorato, un meccanismo del quattordicesimo secolo che dovrebbe garantire la vita eterna, il regista mette in atto una delle migliori rappresentazioni contemporanee della figura del vampiro che, privato di ogni alone letterario e intellettuale viene ridotto al nudo concetto di parassita.

Il film assicura una certa esposizione al regista (premio della critica a Cannes) e gli permette di realizzare il seguente Mimic (1997) con un budget adeguato all’interno degli studios Hollywoodiani. Se da un lato l’esperienza ne accresce l’abilità e il mestiere d’altro canto del Toro torna in Messico frustrato dagli inevitabili compromessi che si è costretti a fare con le major. Rimane il ricordo di una pellicola altalenante fra momenti di sicuro impatto (gli interni, la creatura insetto-mutante) e passaggi a vuoto noiosi e inconcludenti.

Il progetto seguente, realizzato su produzione dei fratelli Almodóvar e girato in Spagna, è il memorabile The Devil’s Backbone (2001) che miscela la ghost story a una (superficiale) lettura degli ultimi anni di guerra civile. Girato con attenzione ossessiva per la fotografia e ricco di momenti ad alta tensione il film consacra definitivamente il talento messicano presso la critica, pur non ottenendo una completa diffusione mondiale.

Forte di questa esperienza e conscio di cosa può aspettarsi nel lavorare a Hollywood il regista torna negli Stati Uniti per portare sullo schermo il seguito delle gesta del cacciatore di vampiri in Blade 2 (2002) con risultati infinitamente migliori al primo episodio e ponendo grande attenzione nei confronti della natura ambigua del personaggio e, in fondo, anche di quella degli antagonisti. Il film riscuote grande successo mondiale garantendo a del Toro la realizzazione di Hellboy. Per quanto riguarda i futuri progetti si parla di una imminente versione cinematografia del celebre At the mountain of madness, racconto lungo (o romanzo breve) di H.P. Lovecraft.

Quando possibile ama collaborare con il direttore della fotografia Guillermo Navarro che condivide con lui un certo fascino per atmosfere morbose e torbide e sa filmare con rara efficacia gli ambienti sotterranei e gli interni metropolitani così amati dal regista. Del Toro mette a frutto la sua passata esperienza nel campo del make up preferendo, quando possibile, rivolgersi ad una soluzione di artigianato umano piuttosto che alla computer graphic. Allevato con una forte educazione cattolica il regista non esita a trasporre questa influenza nei film che gira e, guardando ai titoli della sua cinematografia è facile evidenziare una serie di simbologie più o meno fisse che spaziano dagli insetti alle reliquie religiose, dai liquidi alle malformazioni/mutazioni del corpo fino ai già menzionati ambienti sotterranei.

In possesso di un’ottima cultura cinematografica e con un passato da critico, Guillermo è uno dei pochi registi viventi ad ammettere che, pur amando qualsiasi tipo di film, non ha mai desiderato girare altro genere che quello orrorifico.