Stay Alive è la classica pellicola che, se non viene guardata nell’ottica di quel che è, ovvero un film per ragazzi, rischia di cadere nel baratro delle ‘stroncature domino’.

Sappiamo, purtroppo, che il mondo è pieno di ‘critici’ che scrivono recensioni per partito preso, magari dopo aver letto la trama su qualche guida scadente o, ancora peggio, basandosi su recensioni altrui (ipotesi che può far scattare un meccanismo di stroncatura a priori sia nell’autore, sia nello spettatore).

Gli appellativi che sono stati affibbiati a questo film non sono certo riportabili al di fuori di contesti ufficiosi, ma anche in quelli ufficiali ho trovato un bel repertorio di ingiurie.

Tutto parte dalla tesi scontata per cui negli anni ’80 c’erano la TV e il telefono, poi sono arrivati i cellulari e infine questo terrore ignoto che può partire anche da un videogioco.

Cosa può esserci di più scontato?

Molto.

Il dato importante da tenere di conto è il modo in cui quest’idea viene sviluppata, senza dimenticare il target a cui il prodotto viene rivolto.

Retorica.

Eppure, guardando Stay Alive, in molti se ne sono scordati.

Sono arrivata a leggere recensioni in cui si giudica negativamente il film solo perché ammicca al target tramite i poster appesi nelle camere dei ragazzi, fra cui quello di Steamboy (cosa dovevano attaccarci? Qualche locandina di Fellini?), o schernisce la recitazione perché gli attori sono di provenienza televisiva. Come se fare TV sia una cosa semplice.

Stay Alive è un piccolo (dura solo 1 ora e 15 minuti, se togliamo i titoli di coda) divertissement sul tema del videogioco maledetto, infarcito con tutte quelle leggende orrorifiche (il gioco è ispirato alla storia della contessa Elisabeth Bathory, reinventata in modo da trovarla fuggitiva in USA a seguito delle persecuzioni) che tanto affascinano i giovani durante la pre-adolescenza e l’adolescenza (e qualcuno anche dopo, fatevene una ragione).

In seguito alla morte violenta di un ragazzo, gli amici recuperano il videogioco in cui questi era impegnato poco prima di morire e scoprono, attraverso altre morti cruente, che gli assassini sono collegati al videogioco stesso, ovvero: chi gioca muore nel modo in cui è morto nel videogame. Ma c’è una via di scampo: uccidere l’antagonista (ovvero Elisabeth) con… e mi fermo qui.

La grafica del gioco (opera di CliffyB, uno dei più famosi e innovativi leader designer di videogiochi) è ben fatta, gli effetti speciali sono riusciti, i trucchi per far morire chi è destinato a morire (il ragazzo che viene investito dalla carrozza) e a far ‘restar vivo’ chi non lo è (l’amico che cade sul roveto, unica arma in grado di fermare gli spiriti, e che riappare al momento opportuno) sono incastrati in un plot che non ha né troppe incongruenze, né inverosimiglianze, né sbavature.

Tutto è funzionale alla trama. Non ci sono elementi che potrebbero essere tagliati senza che il senso venga meno, e se i personaggi possono apparire un po’ stereotipati, sono comunque interpretati in modo efficace da attori della giovane generazione, fra cui Frankie Muniz (il Malcom dell’omonima serie televisiva) e Milo Ventimiglia (il Peter Petrelli di Heroes), molto più bravi di quello che una produzione horror low cost solitamente offre.

La brevità della pellicola rende l’azione veloce e mai noiosa. Il film si lascia guardare, insomma. Senza particolare slancio, è vero, ma il risultato è comunque godibile.

Bisogna inoltre tener presente che si tratta di un film a basso costo, girato in soli 25 giorni. Se alcuni cultori dei videogame incontreranno qualche errore nei titoli o negli scenari, ci sarebbe da auspicare che non li imputassero allo sceneggiatore, ma a problemi di copyright; in fondo, il film si avvale della consulenza della American McGee. I produttori sarebbero stati i primi ad accorgersi di determinate incongruenze.

Gli stessi Bell e Peterman, inoltre, hanno dichiarato di non voler fare, per una volta, un film sui videogiochi, bensì sui “videogiocatori” stessi.

Si tratta di un film per ragazzi, ripeto. Non è certo un’opera d’arte, ma il suo lavoro lo fa.

Ci troviamo di fronte a un prodotto che, con un’ampia fascia di pubblico, funziona. Eccome. I forum giovanili ne sono entusiasti.

Perché togliere a questi spettatori un’ora e un quarto di divertimento solo perché da grandi vogliamo fare i critici?

Una curiosità: Stay Alive è l’ultimo film girato a New Orleans prima che l’uragano Katrina la devastasse.