Lo sceriffo Wydell (William Forsythe) sta per fare irruzione nella casa più maledetta degli Stati Uniti. È la fattoria dei Firefly, famiglia di serial killer che ha sacrificato centinaia di giovani al crudele Dr. Satan. La sparatoria finisce in malo modo, e i Firefly riescono a fuggire. Il malvagio Otis (Bill Moseley), la sensuale Baby (Sheri Moon) e il folle pagliaccio Captain Spaulding (Sid Haig) sfrecciano sulle assolate autostrade del Midwest. Uccidendo tutti quelli che attraversano la loro strada.

La Casa del Diavolo di Rob Zombie è senz'altro un'opera più matura rispetto al precedente La casa dei 1000 corpi. Se il primo film era girato con la mano di un horror geek, cercando di infilare una citazione in ogni centimetro di pellicola, questo secondo episodio si fa notare per la sobrietà della narrazione e per il tentativo di dare maggiore spessore ai personaggi.

Il risultato è un film efficace ed essenziale. Anziché perdersi tra mostri, creature sotterranee e complicati riti malefici, Zombie realizza un road movie senza alcun compromesso. Per costruire una storia interessante bastano una bella donna, una macchina e una pistola. Rob Zombie sembra averlo imparato, e fin dalle prime scene decide di sbattere in faccia allo spettatore violenza, cineprese a filo dell'asfalto e redneck invasati che affrontano a viso aperto grandinate di pallottole.

Non siamo ancora di fronte a un risultato perfetto. Zombie è ancora eccessivo e fuori misura, a volte annoia con bruschi rallentamenti della narrazione e spiazza con un uso improprio del ralenti e del fermo immagine. La sensazione è che il regista stia ancora facendo esperimenti con i mezzi tecnici a disposizione, che stia aggiustando il tiro per dare finalmente il giusto equilibrio alle proprie opere.

Lo spam di citazioni c'è sempre, con qualche scena rubata a Le colline hanno gli occhi, Non aprite quella porta, Shining, Bonnie & Clyde e a una manciata di western. Ma sotto la crosta ostentata di amore per il cinema c'è un embrione di cinema vero, e non è affatto male. Con la famiglia Firefly, Zombie ha creato un trio di personaggi forse non molto originali, ma sicuramente credibili e ben caratterizzati.

Bill Moseley è un Otis malvagio e analitico, a metà tra Charles Manson e un inedito Messia del male. Sheri Moon questa volta si fa notare un po' di più del suo fondoschiena: la sua Baby Firefly è un concentrato di cattiveria che riesce anche a farsi voler bene. Il personaggio di Captain Spaulding è il più completo e meglio caratterizzato. Il merito va senz'altro all'esperienza di Sid Haig, che rende credibile e persino umano questo pagliaccio assassino e cocainomane.

Una serie di cameo di lusso completano il cast. Si va dal simpatico Michael Berryman al grande Ken "Zombie" Foree. Manca una vecchia gloria come Karen Black a interpretare Mamma Firefly: il ruolo è stato affidato a Leslie Easterbrook.

William Forsythe è invece uno sbirro granitico, tanto determinato e spietato da farci dubitare da che parte stia il male in questo film.

La Casa del Diavolo gioca con l'atmosfera seventies, le citazioni, e i suoi personaggi che sembrano usciti dalle pagine di un Lansdale con la febbre alta. Anche la splendida fotografia di Phil Parmet, con i toni caldi e saturi, aiuta a calarci nell'epoca. Un po' meno gli effetti speciali: Zombie avrebbe voluto un maggior ricorso a effetti artigianali, ma sembra che sia stato costretto a ricorrere al digitale dagli stretti tempi di produzione. C'è assai meno splatter di quello che ci si potrebbe immaginare. La violenza c'è ma spesso non si vede. A volte l'occhio del regista è persino compassionevole, e lascia gli omicidi fuori campo.

Un discorso a parte merita la colonna sonora. Rob Zombie ha rispolverato per il suo film country e southern rock d'annata, andando a ripescare vecchi successi degli Allman Brothers, Joe Walsh, Terry Reid e soprattutto la commovente Freebird dei Lynyrd Skynyrd. Solo in un film di Tarantino potrete ascoltare una playlist così azzeccata, e la bellezza delle musiche fa perdonare, in parte, i difetti del film.

La Casa del Diavolo rappresenta comunque un progresso rispetto alla prova precedente di Rob Zombie. Il rocker dimostra di saper maneggiare la macchina da presa e di avere un ottimo senso estetico. Rob Zombie ha finalmente maturato uno stile, dobbiamo prenderne atto. Che la prossima volta sia quella buona?